Attualita'
rating e spread

di Giacomo Morandi (Rivergaro)

 

Ho sentito, in questi giorni e non solo da qualche sprovveduto, dichiarazioni sul tipo "chi se ne frega dello spread" o "non vogliamo dipendere dal giudizio delle agenzie di rating, ma solo dagli interessi dei cittadini" o "l'Europa deve concederci di sforare il 3% di deficit" oppure "non dobbiamo dipendere dai mercati". Sono affermazioni che possono far breccia nelle masse che non conoscono sufficentemente le regole dell'economia, anche di quella spicciola, di quella che coinvolge direttamente tutti noi cittadini.
Anzitutto: che cos'e' lo spread e fino a che punto ci riguarda. La parola italiana e' "differenziale" e significa la differenza fra il tasso di rendimento dei titoli di stato con scadenza a 10 anni fra quelli tedeschi e i nostri. Un differenziale via via diverso, naturalmente esiste anche per le altre scadenze, un anno, due anni, eccetera e i titoli di altri paesi. Cio' significa che il nostro governo per finanziare il debito pubblico (attualmente di oltre 2300 miliardi) deve pagare interessi piu' elevati (attualmente di circa il 3%), rispetto alla Germania e, in proporzione, anche rispetto agli altri paesi nostri partner o concorrenti in Europa e altrove. Si tratta attualmente di quasi 70 miliardi che servirebbero per gli investimenti, per le pensioni minime, per i vari redditi di cittadinanza e in genere per tutti i programmi sventolati in campagna elettorale.
Le agenzie di rating, i vari Moody's, Standard and Poor, Fitch sono societa' private il cui mestiere e' di analizzare la solvibilita' non solo degli stati ma soprattutto delle societa' quotate nelle borse, a servizio degli investitori e degli analisti dei mercati, per consentire loro di prendere le loro decisioni, come ad esempio a chi vendere i prodotti, a chi concedere credito, a chi associarsi e cosi' via. E' evidente che le loro classifiche, i loro "voti" influiscono pesantemente sulle decisioni di un'infinita' di soggetti. Possono anche sbagliare nei loro giudizi, peccare di ottimismo o di pessimismo ma comunque vengono ascoltate.
Il tetto del 3% per il deficit di bilancio annuale degli stati, basato sul Prodotto Interno Lordo (PIL) e' un parametro stabilito dai trattati, approvati da tutti i parlamenti incluso il nostro ed ha lo scopo di tenere sotto controllo i bilanci e di conseguenza la moneta comune. Era stato auspicato che si arrivasse gradualmente al pareggio (come prescritto anche dalla nostra stessa Costituzione) e che gradualmente anche il debito pubblico diminuisse, anno dopo anno. e' vero che altri stati, come la Francia e la Spagna, lo hanno sforato, ma il loro debito pubblico e' molto inferiore al nostro, addirittura la meta', e pertanto se lo sono potuti permettere. Per il nostro paese il debito pubblico e' un fardello che impedisce l'attuazione di programmi altrimenti indispensabili, ma a quanto pare e' per molti un problema secondario. Non nego che lo sforamento del tetto del 3% permetterebbe nell'immediato qualche spesa utile per incoraggiare in qualche modo la crescita, ora del tutto insufficiente, se non asfittica, ma nel medio e lungo termine ci troveremmo in punto e daccapo, con il debito aumentato, con il fiato sul collo dei mercati, con la spesa per interessi fuori controllo e un peso alla fine insostenibile per le nostre imprese. Non e' questo un ulteriore aggravio per tutti i cittadini? Non sarebbe meglio cominciare ad attuare piccoli ma continui tagli del debito? Pensiamo, ad esempio, a quanto i nostri governanti si agitano per trovare risorse per i loro ambiziosi programmi (e per evitare un sostanzioso aumento dell'IVA) e forse saranno costretti a violare i trattati o a tagliare qualche spesa. Pensiamo a quanti miliardi risparmieremmo se riuscissimo a dimezzare il debito. E' un sogno, evidentemente.
Giacomo Morandi


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