Una passione per il cinema. I Toeplitz e la Banca Commerciale Italiana

quarta puntata

Il drammatico assalto che i fratelli Pio e Mario Perrone (38) - proprietari dell'Ansaldo e influenti azionisti della Banca Italiana di Sconto (39) - misero in atto per definire nuovi equilibri nella governance della BCI  (40), fu sventato con durezza e scaltrezza da Toeplitz, che combatte' senza esclusione di colpi.
Sconfitti gli avversari, Toeplitz usci' rafforzato dallo scontro , divenendo l'uomo che controllava completamente la Banca attraverso il suo maggiore azionista, il Consorzio Mobiliare Finanziario, ente di cui era diventato presidente
(41).
La situazione personale non sembro' migliorare pero' dopo la presa del potere da parte del fascismo, nonostante i vincoli di amicizia di Toeplitz con un personaggio di spicco, Giuseppe Volpi, poi nominato conte di Misurata, alla guida per molti anni dell'economia del regime e ascoltato consigliere di Benito Mussolini.
All'atavico sospetto, tutto politico, nei suoi confronti, si aggiunsero gli stress che Toeplitz dovette affrontare per mantenere in equilibrio i conti dell'Istituto durante la crisi degli anni venti. Dalla seconda meta' di quel decennio si iniziavano, purtroppo, a cogliere i frutti avvelenati del mortale intreccio con il mondo industriale, conseguenza del ruolo svolto dalla cosiddetta "banca mista".
Il sistema, durante la guerra, era stato chiamato con insistenza a soccorrere le esigenze delle maggiori imprese, ben oltre i loro meriti creditizi. Nell'impossibilita' successiva di rimborso, le principali clienti dovettero convertire i debiti in azioni, consegnandole nelle mani dei creditori bancari, che nominavano i propri esponenti nei consigli di amministrazione, influenzandone la strategia operativa.
Era un'extrema ratio che appesanti' il portafoglio titoli delle banche, in assenza di un autentico mercato dei capitali che assecondasse il successivo ricollocamento di quelle azioni sul mercato.
Toeplitz non riusci' a stringere un rapporto privilegiato con i nuovi padroni del Paese. In effetti, gia' il Mussolini delle origini lo considerava un ostacolo per le sue politiche, un rappresentante della "sporcaccissima democrazia plutocratica"
(42) .
Il che non toglie, almeno a quanto riferisce Ludovico, che alla vigilia della marcia su Roma Mussolini avesse chiesto di poter parlare col "banchiere" che, impegnatissimo, lo fece accogliere da un collaboratore. Del che, il Duce gli serbo' rancore, e "continuo' per molto tempo a non a non riceverlo personalmente, ogni volta che papa' ebbe a chiedergli udienza"
(43).
Secondo Ludovico, il padre aveva assunto verso il fascismo "un'attitudine di prudente attesa". Il mattino dopo la marcia su Roma "aveva inviato d'urgenza il dottor Enrico Marchesano, il suo fidato segretario, in Isvizzera a telegrafare agli amici di Parigi, di Londra, di New York e di Berlino, garantendo personalmente la solidita' della lira"
(44).
Nonostante queste iniziative fossero state fatte trapelare, per acquisire la riconoscenza dei tecnocrati del regime, a Toeplitz fece difetto quel dialogo continuativo e cordiale con il capo del governo. Fini' per assumere, nei fatti, una posizione da antifascista "preterintenzionale".
Sotto la persistente pressione aggressiva dei media, medito' persino di lasciare l'Italia per luoghi pia' accoglienti per lui, come l'avita Polonia. Quando fu informalmente contattato per assumere cola' il Ministero delle Finanze, Ludovico riferisce che Guido Donegani, presidente della Montecatini
(45), sodale di Jozef da tempo, scherzosamente gli dedico' una strofetta "dantesca" di questo tenore: "Giuseppe e la Comit sono una cosa/Siccome il saggio in suo dittato pone/ E cosi' senza l'un l'altro esser osa) (46). E, quindi, pur ingoiando molti bocconi amari, rimase in Piazza Scala per difendere la "sua" amata Banca.
Si e' detto che neanche la nomina a Ministro dell'amico conte Volpi permise di migliorare i rapporti con Roma. A conclusione del suo ciclo in Comit, Toeplitz pago' anche per essere stato firmatario, insieme ad altre centottanta personalita' di rilievo, di un "Manifesto per il disarmo economico"
(47), un documento sottoscritto da banchieri e industriali di primo piano contro le misure in tema del cambio lira/sterlina, adottate dal governo (48).
 

[38] Perrone, Pio (1876 - 1952) Industriale, presidente della societa' Gio' Ansaldo. Insieme al fratello Mario (1878-1968), amministratore delegato della ditta, fu artefice dell' espansione del gruppo durante la prima guerra mondiale in campi diversi: meccanico, degli armamenti, finanziario (Banca Italiana di Sconto), e dell'informazione (il Messaggero). Crollato il gruppo industriale bancario nel primo dopoguerra, i Perrone mantennero il controllo del quotidiano romano. (Notizie da: La banca d'Italia e l'economia di guerra a cura di Gianni Toniolo Editori Laterza, Bari,1989).
[39]
La Banca Italiana di Sconto, detta "la banca italianissima", era nata tra il 1914 e il 1915 dalla confluenza di alcuni istituti precedenti, specie in contrapposizione al Credito Italiano e alla Banca Commerciale, ritenuta quest'ultima dai nazionalisti del tempo troppo vicina alle banche tedesche e austriache, con collegamenti internazionali inopportuni da chi patrocinava un riavvicinamento con la Francia. All'operazione partecipavano in misura rilevante anche i fratelli Perrone, proprietari del colosso metalmeccanico Ansaldo e maggiori produttori di armi. Con lo scoppio della guerra, la BIS fu la principale finanziatrice dell'Ansaldo, attraverso ingenti investimenti e un forte aumento delle immobilizzazioni, tanto che l'attivo dello stato patrimoniale supero' addirittura quello della Comit. Per erogare quei prestiti, la BIS dovette procedere ad aumenti di capitale, che venivano sottoscritti dalla stessa Ansaldo, fino a raggiungere un capitale sociale di 315 milioni nel 1919. A conclusione del conflitto, l'Ansaldo fini' per diventare insieme il maggior azionista, oltre che maggior debitore della Banca. Cessate le commesse straordinarie, l'intreccio finanziario divenne insostenibile: l'Ansaldo si ritrovo' di fronte al problema della riconversione dell'industria bellica, dal momento che durante la prima guerra mondiale aveva assunto delle dimensioni ed una capacita' produttiva spropositate rispetto alle esigenze del tempo di pace. La BIS fu gradualmente travolta dalla crisi finanziaria dal collasso del suo principale debitore. In un disperato tentativo di recuperare liquidita' la Banca di Sconto tento' una scalata alla Comit, che falli' anche per la strenua opposizione di Toeplitz. Venuto alla luce lo stato di crisi della BIS, i piccoli risparmiatori corsero agli sportelli a ritirare il loro denaro. La Banca d'Italia tento' di organizzare un consorzio di salvataggio che non ebbe successo. Il Governo  evito' questa soluzione per non onerare i contribuenti italiani di responsabilita' private. La BIS  fu messa, percio', in liquidazione e, con un regio decreto, si stabili' una moratoria verso i depositanti, ai quali fu rimborsato il 65 o il 75% del valore depositato, secondo che il deposito fosse superiore o inferiore a 5.000 lire. La liquidazione fu gestita da un ente finanziario statale, creato ad hoc e assorbito poi, nel 1930, dal Credito Italiano. (fonti semplificate: Wikipedia e altre del WEB)
[40]
Nel furibondo raid dei Perrone, le quotazioni del titolo Comit balzarono, in poche sedute, da 1.255 lire 2.450. A seguito della strenua resistenza del gruppo di comando della Commerciale e sparsasi la voce  di un accordo promosso dal Governo, il corso precipito' di colpo a lire 1.270. (Eugenio Scalfari, 30 anni di economia; suppl. de L'Espresso 1985 pag. 25/25).
[41]
La costituzione di Comofin diede luogo ad un processo per aggiotaggio contro i massimi dirigenti della BCI, accusati di aver acquistato, con i fondi della Banca, le sue stesse azioni. Il processo, che si tenne presso l'Alta Corte di Giustizia, si risolse con la piena assoluzione degli imputati. La societa' aveva la propria sede sociale in Piazza della Scala, presso la Direzione della Banca che ne controllava interamente il Consiglio di Amministrazione, presieduto da Carlo Parea, della Casa Marsaglia. Amministratore delegato era Giuseppe Toeplitz, ma la gestione effettiva rimase affidata a Giuseppe Smania, segretario di Comofin e capo-contabile della BCI, fino al suo decesso, avvenuto nel 1932. Negli anni Venti Comofin consolido', con ulteriori acquisti di azioni BCI, il suo ruolo di azionista di maggioranza della Banca Commerciale, fino al periodo della crisi di quest'ultima e allo smobilizzo del portafoglio industriale della stessa: nel settembre del 1931 Comofin attuo' un aumento di capitale da 210 a 630 milioni, finanziato dalla Banca d'Italia per permettere alla Sofindit l'acquisto della maggioranza di Comofin); in questo modo si era rotto definitivamente il complesso meccanismo creato nel decennio precedente per difendere la BCI da ulteriori scalate. Comofin, che dovette cedere all'IRI il pacchetto delle azioni BCI ancora in suo possesso, fu posto in liquidazione nel 1934 (Fonte: Archivio Storico Banca Intesa).
[42]
Il popolo d'Italia,  22 ottobre 1922
[43]
Pag. 165
[44]
Pag. 166
[45]
Guido Donegani (1877 - 1947) fu un imprenditore e politico italiano di altissimo livello. Manager della Montecatini, attraverso investimenti e acquisizioni societarie, porto' la sua societa' a essere leader nella produzione dei fertilizzanti fosfatici. Nel decennio 1910-20 si costruirono in tutta Italia oltre 40 stabilimenti di concimi e altri stabilimenti per intermedi e prodotti chimici. Nel 1918 Donegani diviene Presidente della Societa'. Donegani fu anche presidente della Banca Commerciale Italiana e nel 1921 divenne deputato. [46] pag. 145
[47]
pubblicato in Corriere della sera, 19 ottobre 1926. tra gli italiani figuravano Giovanni Agnelli, Ettore Conti, Riccardo Gualino, Alberto e Piero Pirelli.
[48]
Nel 1926 Mussolini opero' una rivalutazione della lira italiana nei confronti della sterlina. La moneta italiana, che aveva subito una pesante svalutazione nel periodo successivo alla prima guerra mondiale, arrivando a toccare la punta di 153 lire per sterlina, fu portata a un cambio di 90 lire per una sterlina. Tale operazione, affidata a G. Volpi di Misurata, ministro delle Finanze dal 1926 al 1928, tendeva contrastare gli attacchi speculativi ai danni della lira  e a ridurre l'accentuata inflazione, che minacciava di erodere le basi del consenso al regime presso le classi medie. In concomitanza con l'instaurazione del nuovo livello di cambio, il governo adotto' altre misure eccezionali, quali il: consolidamento dei buoni del Tesoro, riduzione dei salari e prezzi interni, il rafforzamento dei poteri della Banca d'Italia. La rivalutazione della lira contribui', da un lato, a consolidare in alcuni ceti sociali la popolarita' del regime, ma dall'altro, penalizzo' le industrie, in particolare quelle che dipendevano dall'esportazione dei propri prodotti sui mercati internazionali.


 


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