Una passione per il cinema. I Toeplitz e la Banca Commerciale Italiana
quinta puntata
In
particolare, sull'intento di Mussolini
di ancorare il cambio lira/sterlina a
"quota novanta"
(49), rivalutando
artatamente la moneta nazionale, le
posizioni della Commerciale e del
Credito Italiano erano molto contrarie.
Lo stesso Giuseppe Volpi era orientato
sulla piu' credibile quota di cambio a
125
(50).
Sull'avversione del regime nei confronti degli influenti banchieri milanesi, Renzo De Felice riporta un episodio significativo. Un'intercettazione telefonica di una conversazione tra dirigenti da parte della polizia, divenne oggetto di uno stizzito biglietto del Duce al ministro Volpi, nel quale "si rileva che se la cosa non conviene alla Comit non marcia. Il che e' perfettamente naturale, ma in contrasto colle promesse che questi signori fanno, quando sono chiamati a Roma da Lei" (51). Il documento piu' significativo e' in una lettera di Toeplitz a Volpi del 10 dicembre 1927. In particolare, il banchiere avverte il suo amico che "ebbi una telefonata dal Prefetto di passare nel suo ufficio insieme col Comm. Orsi(52) ...ci venne presentato un certo Funzionario della Questura...questo signore aveva l'incarico di farci delle comunicazioni da parte del Governo. Queste comunicazioni erano che risultava al Capo del Governo che i due Istituti contrastavano la politica monetaria cercando di deprezzare la lira per arrivare alla quota 100. E che il Capo del Governo era deciso a passare a dei provvedimenti se l'ammonimento che egli era incaricato di comunicarci non avesse il voluto effetto...(53)" Ludovico Toeplitz, nel suo libro "Il banchiere" asserisce che il padre, in privato, riteneva quota 110 "l'ultimo limite favorevole"(54). Ovviamente, le sue realistiche posizioni non incontrarono il favore di Mussolini e restarono lettera morta. Ludovico parla pure dei principali collaboratori di Toeplitz. Il libro e' cosi' fonte di riferimenti interessanti. Un accenno importante viene fatto alle "quattro M della Banca Commerciale: Mattioli (55), Marchesano (56) , Malagodi (57) e Merzagora (58)" . Mattioli divenne, in seguito, il "demiurgo" dell'Istituto dagli anni trenta sino al 1972. Di lui, Ludovico riferisce che il banchiere affermava che "era un giovane di belle speranze. Era convinto di esserlo e si comportava in conseguenza". E considerava, il Mattioli, un grave errore l'essersi lasciato trascinare nell'impresa dannunziana di Fiume, e non amava se ne favoleggiasse (59). Ambizioso, aveva ottenuto di non essere capo della Segreteria, ma Capo di Gabinetto. La cosa sembro' ridicola a Toeplitz che, da uomo concreto, era disinteressato ai titoli pomposi e affermava di "non ritenersi il... Governatore della Banca d'Italia e pensava soltanto a lavorare". Tuttavia, viste le sue insistenze in merito, Mattioli fu accontentato. Di Marchesano, Toeplitz parlava, in casa, con vivo affetto e molta considerazione. L'inteneriva anche il fatto che il segretario non avesse segreti per lui e gli chiedesse persino consigli per regolare un suo complesso problema sentimentale (60). Quanto a Malagodi, l'autore del libro ne ricorda "l'aria assente, flemmatica... che pur tacendo pareva criticare sempre tutto", tanto da essere giudicato come il piu' enigmatico tra i collaboratori dell'Amministratore Delegato (61). Come noto, la crisi del 1929, con le sue conseguenze in Italia, provoco' il crollo del sistema creditizio imperniato sulla banca mista. Tra il 1930 e il 1933, la BCI, che in quel momento controllava almeno il 20% del capitale di tutte le anonime italiane, venne completamente ridisegnata. La separazione degli affari industriali e del credito a lungo termine dalle altre attivita' trasformo' la BCI in una semplice banca commerciale per il credito a breve, senza la possibilita' di detenere azioni. L'operazione fu estremamente complessa e venne guidata da Alberto Beneduce, che trovo' sponda anche tra i giovani dirigenti della BCI, Mattioli in testa, che si erano formati sotto la guida di Toeplitz. Le partecipazioni industriali vennero riunite, nel 1930, nella Sofindit (62). Traspare, dal libro di Ludovico, che "il banchiere" si senti' in qualche modo tradito dai suoi allievi. Se volessimo prendere in considerazione le sottintese ipotesi di "complottismo" adombrate dallo scrittore, dovremmo ritenere che parte del risentimento dell'antico capo della Comit fosse rivolto proprio a Raffaele Mattioli (63). Il nuovo assetto segno' definitivamente la fine del potere di Toeplitz che "in un'atmosfera sempre piu' pesante...impose grosse economie su tutta la linea. Vennero prese misure riservate e altre volutamente palesi. Si cedette al Comune di Milano il nuovo palazzo adibito alla direzione centrale, sorto nel 1927 al posto del caro Palazzo Rosso. Vennero ridotti gli emolumenti dei massimi funzionari... (64)" Quanto alla propria posizione, il banchiere comunico' al nuovo Ministro delle Finanze, Guido Yung, di essere disponibile a continuare il lavoro gratis, mantenendo per se' soltanto il compenso come consigliere di amministrazione, ritenendo la sua prosecuzione alla guida della Banca come elemento di coesione e di equilibrio nel funzionamento complessivo della direzione. La soluzione compromissoria non poteva, pero', che essere temporanea. L'8 marzo 1933 Toeplitz dovette dimettersi da amministratore delegato (65) (venne sostituito da Mattioli, che si era prontamente allineato alle impostazioni del nuovo presidente Ettore Conti e di Alberto Beneduce. Il secondo AD fu Michelangelo Facconi (66)). Pur rimanendo vicepresidente fino all'anno successivo, Toeplitz fu di fatto emarginato; si ritiro', poco dopo, a vita privata. Mori' nella sua villa di Sant'Ambrogio Olona il 27 gennaio 1938. Un testimone prezioso dei fatti della Banca e di quelli della famiglia e', come detto, Ludovico (chiamato confidenzialmente: "Lulu'") Toeplitz de Grand Ry (1893-1973), figlio unico di Giuseppe e di una nobildonna olandese. Poeta e scrittore d'impronta dannunziana, aveva partecipato all'occupazione di Fiume ricoprendo il ruolo di capo ufficio stampa e responsabile degli Esteri della Reggenza Italiana del Carnaro (67). Negli anni Venti ebbe una serie di incarichi importanti grazie alle conoscenze del padre: prima a Bruxelles come segretario della finanziaria Sofina (68), poi a Genova come segretario generale della Terni (69). Se la straordinaria storia professionale di Giuseppe Toeplitz desta, ancor oggi, profonda ammirazione, non meno sorprendente e' quella di Ludovico. Si premette che i ruoli tecnici, seppur di prestigio, che il padre di volta in volta gli procurava, non soddisfacevano il suo spirito irrequieto. Il rampollo del banchiere fu, infatti, uno dei piu' originali protagonisti del cinema italiano. Gran viveur, versatile e brillante, aveva perfezionato gli studi universitari (Giurisprudenza a Bologna, Economia Politica a Friburgo) allorche', allo scoppio della guerra, partecipo' alla medesima come ufficiale nel Savoia Cavalleria. Fu decorato al valore e promosso sul campo per meriti di guerra. Nel 1916 aveva sposato Gabriella, figlia del generale Carlo Porro, sottocapo di stato maggiore dell'Esercito, in pratica il secondo nella gerarchia miliare dopo Luigi Cadorna (70). Anche questa parentela non giovo' troppo al banchiere che, anzi, fu indiziato larvatamente di assumere notizie strategiche presso il consuocero per farle filtrare in qualche modo verso il mondo danubiano. Scomparsa prematuramente la moglie, Ludovico sposo' prima la cognata Alessandra Porro, poi Maria Ginanni, un'artista futurista, con la quale pubblico' due libri in comune (71).
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