Una passione per il cinema. I Toeplitz e la Banca Commerciale Italiana
sesta puntata
Concluse le ostilita', Ludovico si reco',
quale legionario, a Fiume, al seguito di
Gabriele D'Annunzio. Fu ministro degli
esteri della Reggenza Italiana del
Carnaro; pare abbia contribuito al
clamoroso riconoscimento diplomatico
dell'Unione Sovietica.
Finita, con il "Natale di sangue", la vicenda fiumana, Toeplitz Jr. torno' a Genova come direttore generale della Terni . Continuava tuttavia a coltivare le sue passioni: il giornalismo, il teatro, la scrittura. Nel 1930 avvenne la svolta della sua vita. La Banca Commerciale lo invio' a Roma per controllare la CINES, nella quale erano stati effettuati, nel tempo, cospicui investimenti. Ludovico lascio' la Terni (72) per occuparsi dell'industria cinematografica. L'inserimento del figlio di Toeplitz nell'impresa fu una scelta obbligata, nel tentativo - poi rivelatosi vano - di tutelare in qualche modo le ragioni dell'Istituto, impegnato in maniera eccessiva nella contropartita, guidata da anni da Stefano Pittaluga. Nell'aprile 1931, subito dopo la morte di Pittaluga, per espressa volonta' del padre, ebbe l'incarico di direttore generale della societa', mentre lo scrittore Emilio Cecchi ne divenne direttore di produzione, apportando una ventata di grandi novita' nella stesura delle sceneggiature. Per tutelare maggiormente gli interessi della Banca, dopo un anno di interregno con la presidenza di un uomo di Piazza Scala, Guido Pedrazzini, Ludovico ricopri' dal giugno 1932 il ruolo di amministratore delegato con Vittorio Artom; rimase a Roma a seguire la produzione, sempre affiancato da Cecchi come direttore, mentre Artom ando' a Torino a dirigere la distribuzione e il noleggio. Tra i principali collaboratori della CINES dell'epoca si ricorda Mario Soldati, una figura di intellettuale che mosse i primi passi in quel mondo artistico proprio grazie alla fiducia che gli concessero Artom e Ludovico Toeplitz (73) . L'invio di Ludovico a Roma testimoniava, assieme alle finalita' "conservative" del credito, anche la curiosita' culturale di Giuseppe Toeplitz verso il cinema, Secondo l'autore de "Il banchiere", nel 1928-29, allorche' la Comit controllava l'80% del capitale della Cines Pittaluga (100 milioni di lire), la societa' era scoperta inoltre in conto per altri quaranta milioni. L'amministratore della Comit non sembrava turbato da cio' piu' di tanto. Infatti, "papa', con la sua consueta volonta' di andare a fondo dei problemi, (era) attratto dalla sua complessita'. Gli pareva un appassionante gioco, il cui fattore imponderabile del problema artistico e della reazione del pubblico erano intimamente connessi con quello finanziario" (74). La CINES era forse la piu' gloriosa sigla cinematografica italiana che, dopo i successi dei primi del secolo, aveva chiuso, per una prima volta, i battenti nel 1921. Occorre ricordare che, per quasi un ventennio, l'attivita' filmica nazionale aveva occupato un posto di rilievo, anche a livello mondiale. Lo scoppio della guerra mondiale aveva determinato pero' una grave crisi del comparto. L'aumento dei costi, dovuto all'avvento dei lungometraggi, favori' l'affermazione di un nuovo modello di impresa, esemplificato dagli Studios hollywoodiani, basato sull'integrazione verticale con il controllo dell'intera filiera, dalla produzione alla distribuzione, fino all'esercizio delle sale cinematografiche. L'infatuazione del pubblico per il vincente e ricco mondo americano favoriva le pellicole d'oltre oceano (i divi stranieri divennero molto conosciuti in Italia), affossando ancor piu' la piu' debole produzione nazionale. Nel 1919 le principali case domestiche tentarono di frenare la crescente penetrazione estera attraverso la costituzione di un consorzio, l'Unione Cinematografica Italiana (75), col sostegno determinante della Banca Commerciale Italiana, della Banca Italiana di Sconto e del Credito delle Venezie. Un ruolo primario in quel tentativo di rilancio dell'industria cinematografica nazionale lo svolse Giuseppe Toeplitz, "appassionato sostenitore di tutte le novita' tecnologiche dell'epoca, sia nel campo industriale sia nelle comunicazioni e nei trasporti (76)". All'Unione partecipavano la CINES e altri nomi di rilievo del settore (77) . Anche per l'arretratezza tecnologica e gestionale delle aderenti, l'iniziativa non diede pero' i frutti sperati e non riusci' a contrastare la marcia trionfale delle majors che, conquistato il favore popolare, aprirono filiali dirette nella penisola. Nonostante cio', si deve rilevare che "nel decennio che va dalla fine della prima guerra mondiale al 1930 - cioe' quando si nota una ripresa in concomitanza con l'avvento del sonoro - furono prodotti in Italia ben 1750 film (78)". Puo' cosi' comprendersi come una banca della caratura della Comit e un banchiere sempre all'avanguardia, come Toeplitz, non avessero ritirato completamente la loro fiducia, sostenendo in piu' occasioni i tentativi di rilancio del comparto, seppur con risultati largamente inferiori alle aspettative. Nei documenti della segreteria Toeplitz si rileva un documento, risalente al 1924, nel quale Angelo Piperno, il revisore contabile della Banca, evidenziava il gravoso impegno della Comit, rimasta ormai da sola a finanziare il trust, dopo la scomparsa della Banca Italiana di Sconto. Gli sforzi effettuati per rientrare dell'investimento non sorti' esito positivo (79). Nell'aprile del 1925 Piazza Scala si trovo' ad essere proprietaria di 4.301.567 azioni su 556.667, per 91.468.889 lire. All'investimento patrimoniale vanno aggiunti i crediti verso l'Unione, pervenuti al 31 maggio 1926 a 65.008.774 lire (80). La Comit fu costretta, piu' avanti, a cedere l'intero pacchetto azionario dell'UCI a Stefano Pittaluga, un uomo di mestiere che si apprestava a diventare l'autentico dominus del settore. Nacque cosi' uno stretto rapporto tra Pittaluga e la Banca, che ottenne di fare entrare i suoi fiduciari nel Consiglio di Amministrazione della CINES e ne divenne la maggiore azionista (81) . Gli ambiziosi progetti della Pittaluga erano legati soprattutto alla conversione al sonoro dei nuovi stabilimenti romani di via Veio. La Pittaluga sarebbe diventata la prima e (per allora) l'unica casa di produzione italiana a possedere apparecchiature per la registrazione del suono. Quelle innovazioni tecnologiche avevano bisogno di cospicui capitali che la societa' continuo' a richiedere alla Comit; la morte di Pittaluga, avvenuta improvvisamente il 5 aprile del 1931, fece pero' precipitare la situazione in un momento di forte indebitamento della societa' finanziata. Se i verbali del Comitato di Direzione della Banca portano traccia dei continui rinnovi del credito, sono le carte della Sofindit - la societa' che curo' poi lo smobilizzo del portafoglio industriale della Comit - a conservare la maggior parte della documentazione (tre faldoni relativi alla crisi della Pittaluga nel 1931), con numerose relazioni tecniche che mostrano, fra l'altro, il costo dei negativi dei singoli film prodotti nel 1931-1932 e quello della gestione di ogni cinema posseduto; sono ben documentati anche il passaggio della Pittaluga all'Iri nel 1934 e la sua liquidazione, con le relazioni ispettive dei controllori Comit (82). Facciamo un passo indietro per comprendere meglio il ruolo e il fascino di Stefano Pittaluga, un gigante del settore, un visionario per i tempi nei quali operava. Grazie alla scelta di puntare sulla distribuzione in esclusiva delle principali produzioni europee e americane, Pittaluga era riuscito a conquistare una posizione di rilievo acquisendo il controllo di un circuito di sale, che copriva buona parte del territorio nazionale. Gian Piero Brunetta, un valente storico del cinema, segnala che, nella profonda crisi del comparto degli anni Venti "si inserisce Stefano Pittaluga, l'unico personaggio dotato di una statura e un profilo imprenditoriale da moderno capitano d'industria" (83). Questi aveva costituito a Torino la Societa' Anonima Stefano Pittaluga (SASP), nella quale era stata concentrata l'attivita' di distribuzione, mentre l'acquisto, la cessione e la locazione delle sale cinematografiche era stata affidata a una societa' collegata. A partire dal 1913, inizio della sua attivita', fino al 1930, Pittaluga riusci' a portare la SASP a gestire circa duecento sale cinematografiche. Raggiunta una posizione quasi monopolistica nel vitale snodo della distribuzione, con una quota di mercato pari a circa l'80%, Pittaluga porto' infine a compimento la propria strategia d'integrazione verticale entrando nel segmento della produzione, prima attraverso l'acquisizione della Fert Film (1922) e della Rodolfi Film (1923) di Torino e, successivamente, rilevando, nel 1926, la CINES di Roma. Nel febbraio del 1927 il processo di concentrazione dell'industria cinematografica italiana sotto il controllo di Pittaluga raggiunse il picco, allorche' la Comit gli cedette l'Unione Cinematografica Italiana e il circuito di sale da essa controllata. Ovviamente, la Banca fu molto grata al Pittaluga per aver risolto, almeno formalmente, il grave problema del suo controllo di fatto dell'UCI. A tal punto va ricordato che, verso la meta' degli anni venti, stava gradualmente mutando l'atteggiamento del regime verso la "settima arte". Gli intellettuali fascisti militanti, raccolti attorno a riviste come "Il Tevere", L'Impero", "Lo Schermo" e altre, invocavano la rinascita della cinematografia nazionale e chiedevano direttamente a Mussolini di intervenire per la salvezza del settore, in palese difficolta' per lo strapotere delle case d'oltremare (84). Allo stimolo di natura culturale non erano probabilmente estranee le attivita' di lobbying che il Pittaluga operava, tramite una catena di amicizie, perche' il regime trasformasse il tiepido atteggiamento iniziale, limitato alla creazione nel 1924 dell'Istituto Luce, con scopi specialmente d'informazione politica (85), in un'effettiva promozione del comparto. In realta', il regime si era concentrato, inizialmente, specialmente sugli aspetti comunicazionali e di propaganda della settima arte. Soltanto nel 1934, con la creazione della Direzione Generale per la Cinematografia e l'anno appresso, con la fondazione del Centro Sperimentale di cinematografia, fu programmata una produzione di chiara marca fascista, favorendo un cinema nuovo, nazionale, che potesse contrapporsi alla invasiva produzione straniera. Rondolino, nel suo "Soria del Cinema", osserva che "da un lato scrittori e intellettuali si occupavano sulle pagine di giornali e riviste di questioni cinematografiche, sia sul piano teorico ed estetico che su quello programmatico; dall'altro artisti giovani ed entusiasti come Alessandro Blasetti tentavano di realizzare film indipendenti, prodotti in economia, legati a temi contemporanei, e industriali come Stefano Pittaluga progettavano un rilancio su basi serie e commercialmente fruttuose (86)". Con un deciso mutamento di rotta, il regime non fu avaro, da allora in poi, di protezioni e di legislazioni di favore per l'industria italiana (87) . Ne sono testimonianza i finanziamenti ottenuto dopo il 1930 dalla Cines, che riscosse un premio governativo, sancito dalla Legge Bottai (88) , nella misura di lire 2.430.000 su un totale di stanziamenti di 2,5 milioni. Il premio veniva assegnato ai film usciti nel periodo giugno 1931/giugno 1932; in pratica, Pittaluga fece la parte del leone e, con cio', si puo' dire che si era aperta l'era del cinema assistito. Col favore dello Stato e con le risorse della Commerciale, Pittaluga era stato il primo imprenditore del settore a fare tesoro della lezione rappresentata dal successo del modello americano. Fautore del passaggio al sonoro, inseri' nelle sue sale marchingegni per diffondere l'audio. L'avvento del sonoro aveva aggiunto, inizialmente, un'ulteriore criticita' alla difficile situazione del cinema nazionale. Intanto, occorreva superare la barriera linguistica: per essere esportate, le pellicole dovevano essere adattate ai differenti mercati, con un conseguente aumento dei costi di produzione per il doppiaggio e la sincronizzazione dei film. Ma anche dal solo lato delle proiezioni, il sonoro comportava particolari problemi: persino le nuove pellicole importate non avevano lo stesso rendimento economico dei film muti, perche' erano in lingua straniera e dovevano essere preventivamente doppiate. Quindi non erano immediatamente adatte alla programmazione per il pubblico italiano; infine, non potevano nemmeno essere proiettate in buona parte delle sale, non ancora attrezzate. L'esportazione di pellicole italiane, gia' notevolmente diminuita, cesso' quasi del tutto, perche' i pochi stabilimenti di produzione esistenti non erano dotati delle apparecchiature necessarie per girare con il sonoro. Si e' detto che nel 1926 Stefano Pittaluga, sostenuto finanziariamente dalla Banca Commerciale Italiana, aveva assorbito l'Unione all'interno della sua SASP. Da quel momento la CINES visse una sua 'seconda stagione', con la denominazione CINES-Pittaluga. Nel 1929 Pittaluga aveva rastrellato ormai l'80% delle azioni della CINES. Il gruppo Pittaluga mise in atto un rilevante aggiornamento tecnologico, che richiedeva investimenti per la conversione dei teatri di posa e per l'acquisto di strumentazioni piu' sofisticati di registrazione e di proiezione. Con la Commerciale alle spalle, i progetti furono, in un lasso anche ristretto di tempo, portati a compimento. Tra il 1929 e il 1930 i teatri di posa di via Veio a Roma furono sottoposti a un'ambiziosa e radicale ristrutturazione. Il 23 maggio del 1930 furono inaugurati, alla presenza di Giuseppe Bottai, allora ministro delle Corporazioni, tre grandiosi studi, muniti di sistemi di registrazione sound-on-film RCA Photophone (89) . Venne realizzato il primo fonofilm italiano, "La canzone dell'amore" (90) (1930) di Gennaro Righelli, cui fecero seguito altri film di commedia leggera ad opera di registi quali Guido Brignone e Goffredo Alessandrini, oltre alle prime innovative prove di Alessandro Blasetti e Mario Camerini. I finanziamenti, di notevole portata, arrivavano sempre da Piazza Scala, divenuta ormai la principale azionista della SASP insieme a Pittaluga. In quel momento la CINES rappresentava quasi tutto il cinema italiano: su dodici film prodotti nell'anno, 10 avevano il marchio di quella societa'. Ancor di piu' l'anno appresso (12 su 13). La destinazione nel 1930 di Ludovico Toeplitz a Roma da parte del padre banchiere fu, pertanto, non solo la testimonianza dell'inclinazione toeplitziana nell'accompagnare iniziative del genere, ma una necessita' impellente, viste le esposizioni in atto, ammontanti a svariate decine di milioni dell'epoca. In quel clima di rinnovamento profondo della CINES, Ludovico Toeplitz ne divenne direttore, sia per passione che per salvaguardare gli interessi della Banca. Le prime impressioni che il nuovo direttore ricavo' del Pittaluga non sembrarono molto lusinghiere, almeno stando a quanto riferisce Riccardo Redi nel suo volume "La Cines" (91). Scomparso nel 1931 prematuramente Pittaluga, a soli 44 anni, Ludovico assunse la guida della societa' fino al 1935 e chiamo' a collaborare, nella direzione dell'impresa, l'intellettuale Emilio Cecchi (92). Proprio in quella fase si stava esplicando il deciso intervento dello Stato per la rinascita del cinema italiano, cui si e' fatto cenno, con generose sovvenzioni e, naturalmente, i benefici non tardano a manifestarsi: la CINES aumento' vertiginosamente la produzione, come anche la Caesar; esordivano, intanto, altre case come la Titanus, la Tirrenia, la Lux, eccetera. Nella stessa famiglia del Duce vi fu un personaggio entusiasta che rivesti' un ruolo di rilievo in quel decennio: Vittorio Mussolini (93), secondogenito di Benito, divenne sceneggiatore e produttore cinematografico di discreta rinomanza. La CINES edito', in pochi anni, molti film di grande successo. Tra i piu' noti, si ricordano "Gli uomini che mascalzoni" (94) , "Palio" (95) , "La tavola dei poveri" (96) , "Acciaio" (97) , "O la borsa o la vita" (98), "T'amero' per sempre" (99), "1860" (100). Toeplitz e Cecchi radunarono attorno a se' letterati e artisti e si volsero con decisione verso il "film d'arte", a scapito dei film di genere, pur senza trascurarne la popolarita'. Direttore del doppiaggio era Mario Almirante (101). Tuttavia,, proprio mentre la produzione di film da parte di altre case iniziava ad aumentare (il finanziamento del cinema viene assicurato dallo Stato e tutti quelli che potevano, ne approfittavano), la produzione della CINES comincio' ad arrestarsi. Cio', non solo per gli elevati debiti contratti negli anni, ma specialmente per la devastante crisi bancaria in corso. Se l'atteggiamento del regime verso la cinematografia era cambiato in meglio, le partecipazioni dirette delle banche nelle imprese finanziate era giunta al capolinea. La nascita dell'IRI sciolse definitivamente il connubio Comit/CINES. Nel 1931 le difficolta' della Commerciale erano diventate particolarmente acute. Non solo: traballavano, in contemporanea, pure il Credito Italiano e la Banca di Roma. Per liquidizzare gli enormi immobilizzi di quelle banche, il governo e la Banca d'Italia costituirono una holding, la Sofindit, con un miliardo di capitale (102) . Era il primo, decisivo intervento della mano pubblica nell'industria italiana. Secondo un rapporto di Donato Menichella, braccio destro di Beneduce e direttore generale dell'IRI dal 1933 al 1944 (103), la Comit presentava 8 miliardi e 400 milioni di immobilizzi. Per risanare la situazione e ripristinare le riserve, sarebbero occorsi subito almeno 3 miliardi e cento milioni (104). Il 23 gennaio 1933 fu fondato l'IRI con il compito di rilevare i pacchetti azionari delle industrie detenuti dalle banche piu' sopra citate. Lo presiedeva Alberto Beneduce (105), molto ascoltato dal nuovo ministro delle finanze Guido Jung e dallo stesso Mussolini. L'8 marzo del 1933 Giuseppe Toeplitz fu costretto a dimettersi dalle sue cariche e la spinosa vicenda passo' nelle mani di Raffele Mattioli, che dovette accettare che la Comit (assieme a Credit e Banca di Roma) finisse sotto il controllo diretto del governo, dando luogo alla nuova figura di "Banca di Interesse Nazionale". Oltre alle mutate, restrittive logiche finanziarie, si aggiunse, nel settembre 1935, uno spaventoso incendio che distrusse nel quartiere romano Appio Latino due dei tre teatri di posa della Cines, teatri nei quali veniva allora realizzata la meta' della produzione italiana. L'attivita' dovette forzosamente interrompersi e il glorioso marchio usci' di scena per circa un decennio. Intanto, nel 1937, si inauguro' Cinecitta', un complesso gigantesco, tecnologicamente avanzato, di livello superiore a quelli presenti negli altri paesi europei. Gli investimenti furono molto elevati e nel 1939 lo Stato assunse la piena proprieta' del complesso, rendendo, di fatto, marginale il ruolo delle residue case produttrici indipendenti. La CINES, per rinascere, dovette attendere il 9 febbraio 1942, quando fu concesso il nulla osta per il riavvio della sua attivita', affidata al produttore Guido Oliva. La terza CINES aveva carattere eminentemente statale, e integrava, nel campo della produzione, l'attivita' dell'E.N.I.C. (106) , che provvedeva al noleggio tramite un proprio circuito di sale. La produzione della "terza" CINES tra il 1942 ed il 1943 ebbe una certa risonanza, e comprese film come La bella addormentata, Avanti c'e' posto, Quattro passi fra le nuvole, Harlem, Fuga a due voci, Sorelle Materassi, Enrico IV, La locandiera, Il cappello da prete. Dopo l'8 settembre 1943 la societa' fu trasferita a Venezia dai fascisti repubblichini e produsse alcuni film, nel 1944, negli stabilimenti della Giudecca, nel cosiddetto Cinevillaggio. Nell'estate 1949 la CINES fu nuovamente ricostituita, su basi eminentemente statali, diretta da Carlo Civallero fino al novembre del 1955 e in seguito da Aldo Borelli; quella "quarta" edizione produsse fra il 1950 ed il 1955 i seguenti film: Due mogli sono troppe, e' piu' facile che un cammello..., L'edera, La citta' si difende, Il brigante di Tacca del Lupo, Altri tempi, La voce del silenzio, Tempi nostri, Amici per la pelle, oltre a numerose coproduzioni con case francesi e film in compartecipazione con altre case italiane. Successivamente a questo buon periodo la CINES cesso' l'attivita', cedendo a terzi i diritti sui film prodotti. Ma ulteriori dettagli sulle vicende della gloriosa casa cinematografica esulerebbero dal tema che ci siamo proposti. Tra i pacchetti passati all'IRI, c'era stato anche quello della SASP, con in pancia i gloriosi teatri di posa. Terminava cosi', con la vita operativa della storica casa cinematografica, il legame con l'Istituto milanese. Vale la pena segnalare che le disavventure con la CINES non impedirono alla Comit di coltivare, nel secondo dopoguerra, i suoi rapporti privilegiati col mondo del cinema, attraverso la sede di Roma, in contatto con tutte le societa' del "Gruppo cinematografico governativo" composto da Cinecitta', Cines e Enic, e cio' nonostante la BNL fosse diventata ormai la banca principale per il credito cinematografico, con la sua sezione speciale (107).
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