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Itinerario di un Caravaggio da Eboli a Via Toledo
di Enzo Barone
 
Sul n. 52 di NoiComit e'  apparso un mio contributo che racconta in maniera semplice la storia, molto intrigante, dell'acquisizione da parte della Banca Commerciale del famoso dipinto "Il Martirio di Sant'Orsola" del Caravaggio. Lo condivido con le Amiche e gli Amici, con gli auguri piu'  affettuosi di Buon Natale.
Nelle foto: l'attuale collocazione, a Napoli, de "Il Martirio..." nella "Sala degli Stucchi" o anche "degli Sposi" di Palazzo Zevallos e de "Le Sette Opere delle Misericordia" presso il Pio Monte della Misericordia.


Itinerario di un Caravaggio da Eboli a Via Toledo
Si avvicinava la fine dell'estate (era una trentina d'anni fa) quando, trasferito da Milano alla Comit di Napoli, fui benevolmente accolto all'ingresso del Palazzo Colonna-Zevallos da un maturo collega, un autentico duca col quale avrei condiviso d'allora in poi l'ufficio. Quel gentiluomo, oltre a essere condirettore della filiale nella quale avrei lavorato anch'io, era pure un componente del Priorato del Pio Monte della Misericordia, un'istituzione nobiliare di beneficenza che ospita tuttora nella sua seicentesca cappella partenopea un famoso dipinto del Caravaggio, "Le sette opere della Misericordia". Chi meglio di lui avrebbe potuto illustrarmi un altro vanto della citta' , lo straordinario quadro di Michelangelo Merisi, raffigurante il Martirio di Sant'Orsola che troneggiava nel disimpegno di quel piano nobile che mi accingevo a frequentare di persona! Cosi' , dopo esserci insediati sulla comoda panchetta di cuoio del vetusto ascensore liberty (il mio anfitrione era sofferente all'anca e seguiva con scrupolo le sue precauzioni salutistiche) arrivammo con meditata solennita'  a destinazione. Attraversato l'ingresso, mi sentii, al braccio del duca, sempre piu'  piccolo sotto il soffitto altissimo della sala che ospitava il capolavoro dell'artista lombardo. E'  comprovato, infatti, che Caravaggio concluse quell'opera nell'ultimo soggiorno napoletano prima della sua morte, avvenuta sulla spiaggia di Porto Ercole nell'estate del 1610. La sua fine fu causata, pare, da una malaria maligna che, con violenti attacchi di febbre, lo porto'  alla tomba a soli trentanove anni, dopo una vita vissuta in modo avventuroso e violento. Non ci perderemo in riferimenti letterari e commenti estetici su un tema affascinante, affrontato in sedi piu'  competenti da critici e studiosi. Ci atterremo alla narrazione  "alla buona"  della vicenda dell'acquisizione del quadro, decisa da quel grande mecenate che fu Raffaele Mattioli, almeno come Carlo Frezza me la raccontava. Molto si era favoleggiato negli ambienti della "Commerciale"  sul favorevole affare realizzato con l'acquisto di una tela rivelatasi, dopo interminabili diatribe, a firma di un autentico gigante dell'eta'  moderna. Ma l'aspetto economico, in quel mondo di banchieri illuminati, veniva sempre in secondo piano rispetto alla cultura. Il Collega, con una sottintesa soddisfazione, esordi' confidandomi che il dipinto era stato, per decenni, attribuito "alla scuola di Mattia Preti", un ottimo allievo di Luca Giordano, a sua volta cresciuto all'ombra di Josepe de Ribera. Insomma, scendendo per li rami, tutta gente che aveva in qualche modo risentito della lezione caravaggesca. L'opera pero'  non era stata assegnata nemmeno a Mattia Preti, ma ritenuta solo genericamente riconducibile a lui attraverso la sua bottega del XVII secolo. Il Presidente della Comit, pare consigliato da un fedele amico del Sud che da anni frequentava Piazza Scala, con un subitaneo innamoramento aveva autorizzato l'acquisto del quadro sulla base di una cifra non esorbitante. Il respiro particolare di quell'opera aveva gia'  attirato l'attenzione di eminenti esperti della materia, come dimostra la ricostruzione della vicenda elaborata da un testimone locale e frequentatore della famiglia dei precedenti possessori del dipinto, tale Mariano Pastore, che ne scrisse diffusamente nel 2010 su un blog campano. Ringraziamo il Pastore per la ricchezza dei particolari forniti e assecondiamo il suo percorso. Il Pastore riferisce innanzitutto che "Il Martirio di Sant'Orsola"  era stato visionato a Eboli nel 1954 dal noto studioso prof. Ferdinando Bologna. Questi era, nel periodo, a Salerno ospite di Venturino Panebianco, Sovrintendente ai Beni Culturali. Approfittando dell'occasione, i proprietari del quadro, i baroni Romano-Avezzano che ne avevano acquisito il possesso attraverso antichi lasciti ereditari, invitarono gli studiosi nella loro tenuta di campagna in localita'  Buccoli, gia'  appartenuta ai Doria principi d'Angri e feudatari di Eboli. Il prof. Bologna, osservando i numerosi quadri che ornavano le pareti di quella casa, fu attratto fortemente dall'opera, chiedendo di poterla fotografare. Una volta rientrato a Napoli (era direttore della Pinacoteca Nazionale) inizio'  a interrogarsi sulle caratteristiche caravaggesche rilevate. Delle sue intuizioni parlo'  a Roberto Longhi, indiscusso maestro della materia, titolare di cattedra a Firenze e fondatore della rivista " Paragone", per almeno un ventennio la piu'  importante ribalta italiana di storia dell'arte. Sotto l'egida di Longhi, nel 1951 era stata anche realizzata una specifica mostra che aveva fatto clamore, quella su Caravaggio e i caravaggeschi. Riprendiamo con la parola del duca che mi faceva osservare, con occhietti brillanti come, in ogni caso, se c'era stato un pittore sottovalutato negli ultimi tre secoli della cultura nazionale, quello era stato proprio il Merisi, a causa dell'interdizione calata sulla sua vita dissipata e sulle provocazioni esibite. Le sue figure sacre trattate con crudezza realistica; le modelle discinte poste a ornamento di altari al posto delle ieratiche figure della tradizione cattolica, avevano determinato pregiudizi e paure nelle classi al potere all'inizio del seicento. Di fatto, si era concretizzata un'operazione di ridimensionamento del Caravaggio, quasi fosse un banale interprete, seppur in forme originali, delle logiche della Controriforma in virtu'  del fatto di aver lavorato tanto nelle chiese romane. Quindi, o scuola del Mattia Preti o attribuzione diretta a Caravaggio, questo aspetto nella trattativa della Banca non avrebbe comportato grande differenza, essendo il Cavaliere lombardo ancora largamente sottovalutato. Torniamo alle peripezie del Bologna: Longhi, viste le fotografie del quadro, al massimo concesse che potesse trattarsi di opera di Bartolomeo Manfredi, un artista tardo manierista che aveva conosciuto il Maestro nel suo soggiorno nella capitale pontificia, restandone fortemente influenzato, tanto che fu persino considerato un abile falsificatore del pittore bergamasco. Nel novecento quest'altro pseudo "minore"  fu poi ampiamente rivalutato, sino ad avere una stanza a lui dedicata nella Galleria degli Uffizi. Mentre il lavorio accademico si svolgeva anche con qualche animosita' , I baroni Romano-Avezzano trasferirono il quadro a Napoli, ritenendo opportuno mantenere il dipinto in un luogo piu'  sicuro dopo il clamore suscitato sulla stampa locale e nazionale. In quegli anni (1962/63) si stava progettando una mostra su Caravaggio e i Caravaggeschi da tenersi ad Atene e a Napoli. Appena il prof. Bologna ne venne a conoscenza, si attivo'  affinche'  anche l'opera da lui scoperta a Eboli fosse esposta, accettando il compromesso che nella scheda di presentazione il quadro fosse denominato come "Soggetto allegorico da attribuirsi come dipinto alla maniera pittorica di Bartolomeo Manfredi o come lavoro giovanile di Mattia Preti". Alla chiusura delle mostre e dopo trattative durate nel tempo, i baroni Romano-Avezzano vendettero finalmente  l'opera alla Banca Commerciale Italiana, che ne affido'  il restauro alle mani esperte di Antonio de Mata. Arriva il momento clou della vicenda, descrivendo il quale Carlo Frezza non nascondeva il suo entusiasmo: durante il restauro si scopri'  sul retro della tela, dopo la sua sfoderatura, una scritta: Michelangelo da Caravaggio seguito da tre lettere maiuscole puntate, M.A.D. corrispondenti alle iniziali del committente dell'opera, ossia Marcantonio Doria e la data della sua morte. Dopo accurati studi le iscrizioni risultarono effettuate nel diciottesimo secolo in occasione di un altro restauro o di un passaggio ereditario. Negli anni ottanta, l'ostinazione del prof. Bologna fu finalmente premiata. Il suo assistente, il prof. Vincenzo Pacelli della cattedra di Storia dell'Arte Medievale e Moderna di Napoli scopri'  nell'archivio Doria D'Angri alcuni scritti di tale Lanfranco Massa, cittadino genovese e procuratore a Napoli della famiglia Doria. Si legge in uno scritto datato 1 maggio 1610 diretto a Genova per Marcantonio Doria, figlio del Doge Agostino: "Pensavo di mandarle il quadro di Sant'Orzola questa settimana, pero'  per assicurarmi di mandarlo ben asciuttato, lo posi al sole, che piu'  presto ha fatto revenir la vernice che asciugatole per darcela il Caravaggio assai grossa: voglio di nuovo esser da detto Caravaggio per pigliar suo parere come si ha da fare perche'  non si guasti". La tela, trasferita in Liguria, e'  citata in un inventario manoscritto del 15 maggio 1620, per poi ricomparire nel testamento di Marcantonio del 19 ottobre 1651 a favore del suo primogenito Nicolo' , principe d'Angri e duca d'Eboli. Ci fermiamo qui e seguiamo, a bocca aperta, la descrizione del duca. "Vicenzi'  (mi chiamo'  subito cosi'), guarda bene: l'uomo sulla sinistra in primo piano e'  Attila, modernizzato con un abbigliamento del Seicento; ha appena scoccato d'impulso la freccia per punire Sant'Orsola, che l'ha rifiutato. La Santa, pur presentando il pallore dell'imminente morte, non sembra spaventata, ma piuttosto stupita e rassegnata e sta cercando di capire cos'e'
 successo. Gli altri tre personaggi che circondano i due protagonisti sono gli scherani del re Unno, anch'essi modernizzati con abiti del Seicento. La raffigurazione dell'uomo con la bocca aperta che sorregge la Martire non e'  che un autoritratto del Caravaggio, incredulo per la scellerata ferocia espressa in quella circostanza dal sovrano. Anzi, vedi bene com'e'  cereo il volto dell'autore e come la testa spunti quasi come decollata dal corpo. Il Merisi era inseguito da una condanna a morte dei Cavalieri di Malta e c'e'  chi sostiene la in quella sua autorappresentazione pittorica si possa leggere il timore di una minacciata decollazione. E chest'e' . Ora spegni i faretti d'illuminazione e andiamocene a faticare, che si e'  fatto tardi!"
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Enzo Barone 18 novembre 2020
 
N.d.R.: non sono certo un grande conoscitore della pittura: aver visto la Gioconda al Louvre non mi ha procurato alcuna emozione e non apprezzo particolarmente i "rinascimentali"....
Tuttavia chiedo scusa a Enzo Barone se mi intrometto ma quando sento parlare di Caravaggio.... Infatti tra i pochi artisti che conosco discretamente e che riescono a suscitare qualche sentimento in me annovero quello che considero il "pittore maledetto", Michelangelo Merisi detto "Caravaggio".
La sua vita dissoluta l'ha costretto a girare il mondo, inseguito da papi e da principi che volevano (letteralmente) la sua testa per crimini (in genere omicidi) commessi nelle loro citta'.
Fra le sue tante mete si deve annoverare Malta: il pittore arrivo' sull'isola nel 1607 e vi rimase sino nel 1608, due anni prima della morte, dopo l'omicidio di un suo rivale in amore. Condannato a morte, su di lui  venne addirittura posta una taglia. Rimase a La Valletta per poco piu' di un anno durante il quali dipinse due capolavori, uno piu' "convenzionale", il  "San Gerolamo scrivente", e una seconda opera che esprime bene la sua indole e focalizza l'attenzione dei visitatori, "La decollazione di San Giovanni Battista" (il suo quadro piu' grande come dimensioni, cm. 361x520), che si possono ammirare in una sala laterale dell'edificio religioso tenuta appositamente in penombra della stupenda Concattedrale di San Giovanni della capitale, dove attirano ogni anno centinaia di migliaia di studiosi e di turisti. Ha lasciato una traccia indelebile in me il secondo, i cui  particolari testimoniano la paura del Caravaggio di essere catturato e decapitato: le fosche tinte dell'ambiente (caratteristica di molte delle sue opere), l'indifferenza dei presenti, il boia che aveva sbagliato il primo colpo aumentando il dolore del santo, i due loschi figuri che osservano il tutto da una finestrina laterale, l'unica persona coinvolta e' Salome' che attende di raccogliere la testa nel canestro per donarla a Erode.
Sull'isola rimase un paio d'anni, riuscendo anche a essere nominato Cavaliere, ma senza abbandonare il suo carattere violento e ombroso che lo obbligo' a lasciare l'isola e tornare in Italia, dove mori' nel 1610, proprio quando si stava diffondendo la notizia che il Papa era sul punto di concedergli la grazia.
Evidenzio un particolare che attesta come al Caravaggio fosse caro il dipinto: infatti la tela e' l'unica che riporta la sua firma (apposta sotto la testa del santo: cfr. immagine sottostante).
Ho visitato la Concattedrale nell'autunno del 2019, inserendo su piazzascala.it un articolo con cui ho cercato di descriverne la magnificenza: chi desidera dare un'occhiata alla galleria di fotografie puo' farlo cliccando qui.
A. Izeta





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