Su Piazza Scala,
in data 28 novembre 2018, a titolo
Un whatsapp alle 10,27 del 20 novembre, poi
un tragico silenzio di morte, ho
voluto parlare di una situazione che, ai
giorni nostri, difficilmente si puo'
concepire se non la si vive con i propri
occhi. Proprio per questo, a mio avviso se
ne deve parlare, se vuoi anche mettendo a
confronto una soddisfacente posizione
economica come quella di noi bancari con
quella di chi, per motivazioni diverse, da...
defunto, deve rimanere in una ...cella
frigorifera di un obitorio in attesa che il
Comune, con la collaborazione della Caritas
e di altre persone volonterose, possano
programmargli il funerale.
Al di la' della tragicita' dell'evento che
meriterebbe un approfondimento per la sua
singolarita' che ha visto il decesso di una
ragazza poco piu' che trentenne, durante il
funerale ho sentito il bisogno di esprimere
pubblicamente in chiesa il pensiero che
segue e che a qualcuno forse non e' piaciuto
molto, verosimilmente perche' deve essere
stato considerato una denuncia nei confronti
degli operatori ospedalieri:
Venezia, 13 dicembre 2018
Chiesa di San Lazzaro dei
Mendicanti Simonetta, il tuo veloce e prematuro distacco da questa terra, tenuto conto della tua giovane eta', ci da'' il senso temporale di una meteora che improvvisamente si stacca dalla sua collocazione, lasciando tutti noi con un qualche senso di colpa riconducibile ad un comportamento umano non sempre improntato all'aiuto verso chi soffre, tra l'altro in un particolare contesto di quasi assoluta solitudine. Come e' stato nel tuo caso. Ed in questo pensiero anch'io mi trovo portatore di questa negativa realta', se vuoi anche un po' giustificata dalla lontananza e dalla mia non piu' giovane eta', circostanze che interiormente mi rimproverano di non aver fatto abbastanza per una ragazza che chiedeva solo il conforto di una parola e che si accontentava, fino all'ultimo giorno di vita, di ricevere tramite WhatsApp qualche foto relativa alle localita' che frequento anche oggi per lavoro, in quanto guardando dette foto, a Simonetta, immobile sul letto di Ospedale, sembrava di viaggiare lontana dalle corsie sanitarie dalle quali, ahime', ha intrapreso un viaggio del tutto diverso, anche rispetto alle foto, in direzione di quel Cielo Celeste dallo stesso colore dei suoi occhi puliti, per bene e bisognosi di affetto. Ci siamo sentiti al telefono per mesi e mesi, insieme con mia moglie; e cio', fino all'ultimo giorno di vita ma, non so ancora per quale mistero, ad un certo momento ho sentito le sue urla di dolore senza poter mai piu' riprendere la conversazione... e cio' anche nei giorni successivi. Le mie immediate e continue telefonate all'Ospedale per avere una qualche notizia sono state sempre inutili in quanto gli operatori sanitari si barricavano sempre sul rispetto della "privacy" (malgrado essa non esistesse affatto per una serie di ragioni che non sto qui a spiegare), tra l'altro senza dirmi, da parte dei miei interlocutori, che la povera Simonetta era morta e collocata in una cella frigorifera gia' da qualche giorno... si puo' ? E tutto cio', senza nulla togliere a tutti coloro che si sono adoperati in toto nell'interesse di Simonetta, non sottacendo che ,a volte, non basta il freddo "mestiere" rispetto al cuore... Sgomento, sono partito all'indomani da Belluno per vedere Simonetta, ma, anziche' trovarla in corsia, mi hanno accompagnato in una cella frigorifera ove sono stato colto da un dolore straziante che ho sopportato grazie anche all'intervento di un operatore sanitario, al quale, devo molta gratitudine per il suo senso di umanita' che non collimava certo con quella sindacabile "privacy" di cui parlavo prima, avulsa da qualsiasi principio di cristiano umanesimo, al quale non puo' far seguito altro se non il perdono cristiano per tanta leggerezza di fronte ad un caso di tanta gravita' anche sotto il profilo civile. Lungi da questi fatti che sicuramente mi resteranno impressi vita natural durante, vorrei salutare Simonetta ricordando la sua dolcezza, il suo modo dolce di porsi di fronte agli altri malgrado la malattia, la sua voglia di rendersi utile anche con lavoretti, come quelli recenti fatti a mano nello spirito del prossimo Natale, evento che, purtroppo, non ha potuto festeggiare insieme con tutti noi. Cara Simonetta, ti auguro-ti auguriamo tutti un Buon Natale anche se non sei piu' con noi e ti preghiamo di scusarci se non abbiamo fatto abbastanza per renderti meno pesante il calvario attraverso il quale sei passata, spesso senza una parola che non fosse quella fredda e, a volte, mestierante di una burocrazia ospedaliera. Sono certo che capirai dal Cielo il pensiero di chi ti ha voluto veramente bene e, guardandoci da Lassu' piu' di quanto non siamo stati capaci noi di guardarti su questa terra, sono altrettanto certo che grazie anche e soprattutto all' intercessione di quel Gesu' Buono che sta per nascere fra qualche giorno, ci insegnerai a riflettere sulla precarieta' della condizione umana. Ciao, Angioletto di tutti noi ! Arnaldo |
Evidentemente
non avendo le controparti interessate
recepito appieno il senso del soprariportato
mio intervento volto ad esplicitare che,
molto spesso, non vale tanto la
professionalita' sanitaria quanto l'aspetto
affettivo che in ogni caso si dovrebbe
dimostrare nei confronti di chi soffre,
aspetto quest'ultimo, molto spesso piu'
terapeutico della medicina stessa, sono
stato costretto, all'uscita dalla chiesa di
San Lazzaro, a riprendere il pensiero che
finalmente e' stato perfettamente recepito
sia da qualche sparuto operatore sanitario,
li' presente in camice bianco, che da alcuni
esponenti della Caritas ai quali tutti non
ho risparmiato un personale sentimento
secondo il quale, quando una persona si
sente offesa, cio' potrebbe significare che
esiste una qualche conflittualita'
psicologica nei confronti del suo personale
operato. Come dire: "se ho operato bene non
ho nulla di cui offendermi".
Chiarito l'arcano, molto presumibilmente e
comprensibilmente determinato dalla
singolarita' del momento, le poche persone
presenti al funerale si sono poi diradate,
alcune per seguire il feretro in motoscafo
presso il cimitero di San Michele, altre per
sviluppare ancora gli aspetti del mio deciso
intervento, peraltro gia' chiaramente capito.
Va detto in chiusura, in chiave redazionale
e con l'assoluto rispetto per il triste
evento, che la cerimonia si e' svolta in una
chiesa costruita intorno al XVII secolo,
denominata Parrocchia di San Lazzaro dei
Mendicanti, luogo nel quale nei secoli
scorsi convergevano malati di lebbra,
mendicanti di tutti i tipi, realta' che,
malgrado le continue ristrutturazioni della
medesima - che io considero una delle piu'
belle e storicamente significative di tutta
la Citta' di Venezia, (all'interno ci sono
dipinti di Tintoretto, Veronese e tanti
altri) - anche ieri ha conservato, durante
l'omelia del bravo Parroco, lo spirito che
ha contrassegnato la sua esistenza, fatta di
aiuto e sostegno ai poveri, alle persone
sole, che, se non fosse per qualche anima
buona, non riceverebbero neanche un fiore.
Mi fa specie che questo spirito si sia
esplicitato, involontariamente ma
visibilmente, anche attraverso l'offerta del
consueto obolo, osservando come il
raccoglitore delle questue abbia sbarrato
gli occhi vedendo la generosita' dei
convenuti a questa mesta cerimonia, ove
messa a confronto con l'indigenza per la
quale, fra una articolazione strutturale e
l'altra, essa ha operato fra gli anni
1200/1300 come ospedale e nel 1600/1700 come
chiesa di San Lazzaro dei Mendicanti.
E cio', sempre nell'interesse dei poveri e
dei malati.
In sottofondo Ave Maria di Shubert
cantata da Maria Callas
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