piazzascala.it edizione 2018

1815-1816 la peste a Noya  di Gino Langiulli
da Nuova Realta'   notiziario Ass. Bancari Caripuglia-UBI Banca Carime
Anno XXIV Numero 3 Settembre 2018

Correva l'anno 1815 quando si verifico' l'avvenimento piu' drammatico della millenaria storia di Noya (oggi Noicattaro): la peste bubbonica che oppresse la cittadina provocando lutti e sconcerto fino a tutto il 1816.
Terminate le disastrose guerre napoleoniche, l'Europa finalmente tirava un sospiro di sollievo. L'Imperatore francese era stato sconfitto ed esiliato a S.Elena; il Congresso di Vienna aveva dato un nuovo assetto ai vari Stati e, in base al Principio della Restaurazione e della Legittimita', aveva assegnato a Ferdinando I di Borbone il Regno di Napoli con la nuova denominazione di Regno delle due Sicilie.
Ma non era finita qui: nuove calamita' si annunciavano segnatamente sul bacino mediterraneo.
Gia' durante il decennio francese - quando cioe' il Regno di Napoli fu governato prima da Giuseppe Bonaparte (fratello di Napoleone) e poi da Gioacchino Murat (suo cognato) - si sapeva con certezza che nell'oriente mussulmano, nell'Isola di Malta e in Dalmazia imperversava un'epidemia di peste e per scongiurare ogni possibile contagio a causa dei continui rapporti commerciali esistenti con dette regioni, era stato istituito un cordone marittimo lungo le coste pugliesi dell'Adriatico. A Torre Pelosa (oggi Torre a Mare) c'era un presidio militare che vigilava sul litorale barese.
Tale sistema - istituito nel decennio francese - continuo' a funzionare anche sotto i Borboni perche' da Malta e dalla Dalmazia arrivavano notizie sempre piu' allarmanti: il male progrediva e, per via degli scambi commerciali esistenti tra le due sponde, specialmente tra slavi e noyani, si temeva che il male arrivasse in Puglia. E i timori non erano infondati perche' gia' alla fine di novembre del 1814 si ebbero a Noya i primi due decessi causati da "un male sconosciuto".
Il 2 gennaio del 1815 l'Intendente della Provincia di Bari Principe Capece Zurlo, allarmato dagli avvenimenti, ordino' alle Deputazioni Marittime di non consentire sbarchi a persone senza accurate precauzioni e di non permettere assolutamente l'introduzione di merci prove-nienti dalle coste slave.
I primi decessi e l'inaspri-mento dei controlli sulle coste suscitarono immediate preoccupazioni tra i noyani e subito cominciarono a circolare voci allarmanti sulla diffusione di un male di origine sconosciuta e si registro' la fuga dal paese di alcune famiglie piu' facoltose.
Nei paesi limitrofi si corse subito ai ripari impedendo l'ingresso ai noyani e comminando pene severe a chi osasse ospitare fuggitivi provenienti da Noya.
Le autorita' sanitarie locali informarono tempestivamente Napoli degli ultimi accadimenti, precisando che la cittadina era affetta da una "febbre maligna contagiosa" e che urgevano drastici interventi sanitari.
Grazie alle "paterne cure e premure di Sua Maesta' il Re, che Dio sempre lo feliciti" tutto l'apparato statale del Regno delle due Sicilie, dal ramo amministrativo a quello sanitario e militare, fu impegnato per monitorare e fronteggiare il morbo contagioso sviluppatosi a Noya. I piu' illustri clinici di Napoli furono chiamati a consulto dal Re per esprimere pareri e consigli su quanto accadeva in Puglia. Anche il celebre patologo Domenico Cotugno (Ruvo di Puglia 1734 - Napoli 1822) fu chiamato per dare il suo contributo predisponendo istruzioni dettagliate sulle cure da somministrare agli ammalati e facendo giungere da Napoli farmaci adeguati per combattere la "febbre maligna contagiosa" che affliggeva la popolazione di Noya.
Sebbene i caratteri del morbo fossero chiari, le Autorita' non parlarono mai di peste ma soltanto di "febbre maligna contagiosa". Comunque, quale che fosse la natura del male, al fine di circoscrivere nella maniera piu' rigorosa ogni possibile espansione del contagio, si decise di cordonare la cittadina e di stabilire una attenta vigilanza da parte di truppe fatte accorrere rapidamente da Napoli.
Per ordine del Re giunse a Noya anche una commissione di medici militari coordinati da un ufficiale superiore con l'incarico di collaborare con l'Intendente Capece Zurlo per definire gli interventi da porre in essere con la massima sollecitudine.
In questa fase furono prese le seguenti decisioni:
-              predisporre due ospedali, il primo "sporco o morboso", ossia il lazzaretto, nel Convento del Carmine; il secondo "di osservazione" nel Convento dei
               Cappuccini;
-              individuare e organizzare delle "Case di convalescenza" per i degenti in via di guarigione;
-              destinare a luoghi di sepoltura alcuni campi siti a debita distanza dall'abitato, dato che ormai i morti si contavano numerosi ogni giorno e le sepolture
               nelle chiese erano sature;
-              organizzare la distribuzione dei viveri, stabilendo che i benestanti ne pagassero il prezzo mentre i poveri ne usufruissero gratis;
-              emettere un'apposita Ordinanza per i Comuni piu' facoltosi della Provincia di Bari con l'obbligo di fornire quanto necessario per il sostentamento della
               sventurata popolazione di Noya e delle truppe poste a vigilanza del cordone.
Sui 5.000 abitanti di Noya, solo 1/5, cioe' i benestanti, potevano pagarsi i viveri, tutti gli altri dovevano essere mantenuti dal Comune.
Purtroppo, nonostante l'impegno di medici e autorita', non si riusciva a contenere il dilagare della malattia per cui fu deciso di costruire un secondo cordone ad un raggio di 5 miglia dal paese. Per la sua costruzione, data la penuria di lavoratori disponibili, si decise di destinare a tale compito anche i carcerati.
Per presidiare il duplice cordone fu impiegato quasi un migliaio di militari e fu proibito in assoluto ai noyani di uscire dal cordone pena l'arresto e la fucilazione.
I mesi di gennaio e febbraio del 1816 furono i piu' funesti: la neve caduta abbondantemente nel mese di febbraio rese impraticabili molte strade, rendendo difficili le comunicazioni con Napoli. La coltivazione dei campi, a causa del doppio cordone, divenne impossibile come pure l'allevamento delle greggi, ormai destinate alla morte. A causa del freddo intenso, ci furono giorni in cui il gelo fece piu' vittime della stessa "febbre maligna contagiosa".
I noyani piu' poveri, a causa della penuria di legna, si riunivano numerosi dove potevano riscaldarsi e accettavano qualsiasi vestiario gli si offrisse o rinvenissero in tal modo, insieme alle cose, raccoglievano il contagio e la morte. Le strade erano vuote, il popolo disperso, le chiese tutte chiuse, ogni festeggiamento sospeso, la citta' bloccata: tutto era un dolore universale. I vecchi, dolenti e mesti, seduti sulla nuda terra, si guardavano taciturni mentre la morte mieteva vittime a decine ogni giorno. La gioventu' noyana, vedendosi privata di tutto e stanca di soffrire e piangere, giaceva stupita e ammutolita.
Per far fronte nella maniera piu' energica a tale situazione, il Ministro degli Interni decise un ulteriore intervento da Napoli, inviando a Noya un Plenipotenziario quale Commissario del Re.
Questi, appena giunto e adeguatamente informato dalle autorita' locali sulla reale situazione della cittadina, con la massima tempestivita' diramo' le seguenti disposizioni:
-              obbligo per ogni capo famiglia di informare giornalmente le autorita' sanitarie circa le condizioni della propria famiglia, onde evitare che i contagiati
               restassero in casa per piu' giorni;
-              divieto di conservare mobili, capi di vestiario, oggetti di uso quotidiano da parte di cittadini e di loro familiari colpiti dal morbo. Tutto doveva essere
               raccolto e bruciato. Le pareti delle case dove c'era stato contagio dovevano essere lavate con acqua e aceto, come pure con acqua e aceto dovevano
               essere lavate monete e documenti. Prima di procedere alla distruzione col fuoco le autorita' dovevano stabilire il valore di ogni cosa per determinare il
               relativo indennizzo.
Conferi' poi incarico alle Autorita' Comunali di predisporre un catalogo delle merci suscettibili di infezione, indicando le modalita' da usare per espurgarle. Detto catalogo fu compilato rapidamente e conteneva di tutto, ad eccezione dell'olio di oliva considerato il miglior isolante contro il morbo, ungendo le parti scoperte del corpo.
Per incentivare i cittadini a collaborare stabili' un compenso di 1.000 ducati a chi avesse denunciato l'esistenza di generi non dichiarati da famiglie o individui colpiti dal morbo e, per concessione del Re, organizzo' la distribuzione di 200 ducati al giorno ai piu' poveri. Ma il morbo non demordeva!
Verso la fine di febbraio fu prospettata addirittura la possibilita' di dare alle fiamme l'intera cittadina distruggendola completamente perche' la malattia si era fatta cosi' virulenta da rendere imminente il pericolo che il contagio si propagasse ad altre citta' del Regno.
Grazie a Dio non si giunse a tale drastica decisione perche' con l'arrivo della primavera si cominciarono ad avvertire i primi segni di miglioramento.
Nel mese di aprile la media dei decessi scese a meno di due al giorno, con diversi giorni senza nemmeno un morto. Questo rappresentava di per se' un risultato di grande successo per le Autorita' Sanitarie e per il Governo e solo allora, quando effettivamente l'epidemia si andava esaurendo, si disse apertamente che a Noya c'era stata la peste bubbonica: le Autorita' Sanitarie e il Governo si sentivano ormai certe di aver debellato l'epidemia e non avevano piu' timore di rivelarne la natura.
Non tutti gli storici concor-dano sul numero dei morti causati dalla peste di Noya. Nel registro dei morti dell'Archivio della Chiesa Madre sono annotati 805 nomi.
Nei primi di maggio la situazione miglioro' decisamente, torno' l'ottimismo dei medici e delle autorita' e il giorno 30, in occasione della ricorrenza dell'onomastico del Re, ci furono ulteriori elargizioni di elemosine a favore dei piu' poveri.
Il 7 giugno fu il giorno in cui si registro' il decesso degli ultimi 3 appestati. Ma l'impegno e le incombenze delle Autorita' Sanitarie non erano finite: bisognava procedere allo spurgo generale della citta', di tutti i palazzi in cui erano stati ricoverati gli ammalati dando alle fiamme mobili, biancherie, libri, quadri e arredi vari, e disinfettando pareti e pavimenti. Tutto questo fervore di attivita' si protrasse sino alla fine di ottobre.
Il 1^ novembre il Re firmo' il decreto che riabilitava la citta' di Noya e la riammetteva alla libera pratica del Regno. L'Intendente Capece Zurlo, lo stesso giorno, di concerto con l'Arciprete, stabili' che nella Chiesa Madre venisse celebrato un solenne Te Deum di ringraziamento a Dio per la fine della pestilenza. Al termine della cerimonia furono aperte le barriere dei due cordoni e furono sparati 150 colpi di cannone per annunziare ufficialmente alla cittadinanza la fine delle misure restrittive che per oltre due anni avevano afflitto i noyani.
Il governo Borbonico, per far fronte all'emergenza rappresentata dalla peste di Noya, spese una cifra enorme pari a circa 12 milioni di ducati. A giudizio di alcuni storici questa profusione di mezzi fu dettata anche e soprattutto da motivi politici: il Re Ferdinando I di Borbone doveva dimostrare agli altri Sovrani d'Europa ed ai suoi sudditi che il nuovo apparato statale funzionava, anche per reggere il confronto con l'efficienza dimostrata dai Napoleonidi (Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat) che avevano ben retto il Regno di Napoli dal 1806 al 1815

 

 

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