Anche prima che crollasse il ponte,
Genova era divisa e il collasso di quella struttura
altro non ha fatto che rendere evidente dal punto di
vista fisico una separazione
molto piu' profonda e che esiste da sempre.
In realta' le Genova sono
almeno tre.
Anzitutto c'e' quella
dell'Acquario e del Porto Antico, che e' la piu'
conosciuta dai turisti ma che con la Genova vera c'entra
poco o niente.
Attraversata la strada c'e'
il centro storico, ricco di bellezze tanto antiche
quanto appena conosciute: il Duomo di San Lorenzo,
Piazza De Ferrari, la Chiesa di san Matteo, i palazzi
dei Rolli, ma pochi di quelli che fanno il giro sul Bigo
o lo shopping da EatItaly vi si avventurano. Quasi
nessuno poi sa che a meno di un chilometro in linea
d'aria esiste un gioiello di architettura medievale come
la Chiesa di Santa Maria di Castello, unico al mondo.
Peggio per loro ma, obbiettivamente, la chiesa non e'
per nulla pubblicizzata e, salvo pochi specialisti di
storia dell'arte, nessuno la conosce.
Questa comunque, con
l'immancabile veduta di Boccadasse, e' la Genova che,
non spesso ma quando proprio non possono farne a meno,
appare in TV e che la maggior parte della gente conosce.
Essere convinti di avere
visto Genova perche' si e' stati all'Acquario e al Porto
Antico e' come pensare di conoscere l'America perche' si
e' stati una settimana in vacanza a New York.
La seconda e piu' vera
Genova incomincia sull'altura di Castelletto: qui
nell'800 e nel secolo scorso armatori e imprenditori
portuali hanno costruito le loro case, vicine agli
scagni ma abbastanza lontane da non sentire gli odori
del porto.
Dalla spianata di quel
quartiere si gode forse la piu' bella vista di Genova,
quella che probabilmente ammiravano Nietzsche e Mark
Twain e che li porto' a definire Genova una delle piu'
belle citta' del mondo: in effetti lo e' ma non per
tutti quelli che ci abitano.
Come una specie di S,
Genova si snoda da Castelletto verso Carignano, altro
quartiere panoramico che si affaccia sia sul mare che
sul centro della citta':
Da li', nel 1970, i
genovesi hanno assistito, inorriditi e impotenti, alla
tragedia della London Valour, una nave inglese ma con
equipaggio indiano, che una libecciata eccezionale aveva
mandato a incagliarsi sulla diga foranea: chi c'era
ricorda i corpi dei marinai finiti in mare e sbattuti
contro gli scogli come burattini, la motovedetta della
Guardia Costiera, le pilotine che erano uscite
nonostante le onde spaventose a cercare di salvare i
naufraghi e l'elicottero del comandante Enrico che
provava a raccoglierne qualcuno in una specie di rete
appesa sotto al velivolo.
Poco piu' a destra,
guardando il mare, c'era la Torre Piloti del Porto,
abbattuta dalla manovra sbagliata di una nave pochi anni
fa, causando la morte di nove persone.
La S curva poi alla Foce,
dove una volta l'anno, si tiene il Salone Nautico e
migliaia di persone vanno a vedere barche da favola che
non potranno mai comprare: e' l'occasione per Genova di
ricomparire su giornali e teleschermi, e da qui
incomincia la Genova "bella", che da Corso Italia,
passando per Albaro, Quarto, Quinto arriva fino a Nervi:
le case si affacciano sul mare o, all'interno, su vie
quiete e ombrose di verde e giardini. Di antiche ville
si indovinano le bellezze al di la' dei muri che le
circondano.
Oltre che bella questa
Genova e' anche fortunata perche' qui le disgrazie, come
per una sorta di tacito patto con Padreterno, non
capitano mai e forse questo e' il motivo per cui, se
possono permetterselo, i genovesi vanno a abitare da
quelle parti.
Esiste infine la terza e
ultima Genova, ultima in tutti i sensi. Comprende la Val
Bisagno e la Val Polcevera e tutto il ponente, dalla
Lanterna fino a Voltri e qui, evidentemente, gli
abitanti il patto con Padreterno non l'hanno fatto,
perche' se c'e' una disgrazia capita da quelle parti,
nonostante ci siano in zona due santuari, quello della
Guardia e quello del Monte Gazzo, che dovrebbero
garantire un minimo di protezione preventiva: in realta'
sono ricchi di ex voto per scampato pericolo e forse ci
andra' l'autista di quel camion che si e' fermato a
pochi metri dal ponte crollato.
Ma il ponte crollato e'
solo l'ultima delle disgrazie che hanno colpito questa
Genova, a cominciare dagli anni 50.
Incominciamo da
Cornigliano che era quello che si definisce un "ridente"
borgo diviso dall'Aurelia tra la marina ("a maenna"),
dove si andava a fare i bagni e la collinetta di
Coronata dove si produceva un bianco squisito con
retrogusto di zolfo, oggi introvabile. Nel mezzo alcune
ville con parco utilizzate da famiglie nobili genovesi
per passarci l'estate.
A dominare la punta di
Cornigliano un vero e proprio castello che dal nome del
proprietario, un Berlusconi dell'epoca, si chiamava
Castello Raggio e pare che alla festa inaugurale, nel
1900, fosse intervenuto pure il re Umberto, pochi giorni
prima di essere ucciso a Monza in un attentato.
Dopo l'ultima guerra
l'ecologia non era stata ancora inventata ed e' in
questo quartiere che si e' pensato bene di costruire
un'acciaieria proprio a ridosso del mare e delle case:
Castello Raggio e' stato fatto saltare a colpi di
dinamite e lo stabilimento ha incominciato a produrre.
Pazienza se dalla cokeria uscivano corpuscoli di carbone
che finivano sulle lenzuola stese ad asciugare (presto
le donne avevano imparato a fare il bucato in base agli
orari della colata) ma anche e soprattutto nei polmoni
degli abitanti. Roba che l'Ilva di Taranto, al confronto,
e' una stazione climatica ma quella era l'aria che i "cornigliotti
"che non avevano potuto andarsene dovevano respirare.
Il quartiere era coperto
costantemente da una sorta di caligine che aveva finito
per impregnare, oltre che le persone, anche le case e lo
stadio, dove tra le due guerre giocava la serie A, e che
ospitava ancora le partite del calcio minore, con
immaginabile beneficio per i polmoni dei giocatori.
Poi lo stadio e' stato
abbattuto e al suo posto hanno costruito un deposito per
gli autobus
Cornigliano, negli anni 50
e 60 era uno dei quartieri piu' degradati d'Italia ma
l'acciaieria Oscar Sinigaglia, dal nome di chi l'aveva
progettata, dava lavoro e gli abitanti sperimentavano
sulla loro pelle che "sciuscia e sciurbii nun se poeu".
A completare il panorama
c'erano anche due gasometri, sulla sommita' dipinti a
scacchi bianchi e rossi per renderli visibili agli aerei
che atterravano nell'aeroporto costruito li' vicino, con
la pista che finiva a poca distanza dal mare, tant'e'
vero che un aereo c'era finito, per fortuna senza gravi
conseguenze.
Sestri aveva gia' i
cantieri a renderla sufficientemente invivibile e allora
si e' passati a Pegli, dove ai tempi veniva a
villeggiare il re del Belgio e li' si e' costruito il
porto petroli, con grande beneficio dei pescatori di
Multedo e dei relativi pesci.
Ma l'ultima Genova e'
lunga e cosi' si e' costruito il porto dei container a
Pra' e Voltri, per completare l'opera.
Nella Val Polcevera le
fabbriche sono state via via chiuse e abbandonate finche'
il loro posto e' stato preso dai centri commerciali dove
il sabato le mogli trascinano rassegnati mariti a fare
shopping: sia quando c'erano le fabbriche che adesso,
difficilmente Mark Twain e Nietzsche avrebbero definito
quella valle come parte di una delle citta' piu' belle
del mondo.
La Val Bisagno ha avuto la
sua parte: poiche' i torrentelli che la attraversavano
non erano mai stati messi in sicurezza, e' stata
regolarmente alluvionata per decenni, a cominciare dallo
straripamento del Bisagno del 1970, costato 35 morti per
finire a quello del Fereggiano, quando i morti sono
stati un po' meno ma solo per caso.
Infine e' crollato il
ponte sul Polcevera, che nessuno a Genova chiamava ponte
Morandi, e i morti sono stati 43 solo perche' era il 14
agosto: fosse crollato in un qualsiasi giorno d'autunno,
quando il traffico e' piu' intenso, le vittime sarebbero
state centinaia.
Quel ponte univa le due
Genova (i turisti che venivano all'Acquario passavano in
maggioranza dall'A7, cosi' a Serravalle potevano
fermarsi all'outlet) solo fisicamente perche' troppe
erano le differenze tra chi viveva dall'una o dall'altra
parte: nessuno dei genovesi della S si sarebbe mai
comprato una casa sotto un ponte dell'autostrada come, a
prezzo di grandi sacrifici, hanno fatto tanti di quelli
che sono sfollati e che adesso, con enorme dignita',
accettano di perdere la casa, paghi di aver salvato la
vita.
Nessuna meraviglia percio'
che quando due genovesi si incontrano fuori Genova la
prima domanda e' " dove abiti a Genova ?" perche' il
luogo dove un genovese e' nato e vissuto lo identifica
come e piu' del codice fiscale e in qualche modo ne
condiziona la vita.
Il ponte sul Polcevera
sara' ricostruito e forse persino io, che sono andato a
vivere a Milano dove nessuno ti chiede dove vivi se non
per chiedere o dare un passaggio dopo cena, riusciro' a
vederlo.
Ma chissa' mai se si
riuscira' - finalmente - a costruire un ponte che unisca
le diverse Genova in una sola e non faccia piu' sentire
gli abitanti dell'ultima genovesi di serie B.
Sarebbe il modo migliore
di ricordare quelli che su quel ponte maledetto hanno
perso la vita.
Gianni Roj (amico di Renzo Saitta)