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chi lo desidera puo' ascoltare l'Inno del Vajont, da interpretato e scritto
da Arnaldo De Porti con le emozioni tristi del momento tragico di quegli anni

 

BEPI ZANFRON, FOTOREPORTER BELLUNESE DAL CUORE GENEROSO E GRANDE,
CHE HA TRASMESSO AL MONDO INTERO LA TRAGEDIA DEL VAJONT

Non appena ho avuto notizia che l'Associazione Stampa Bellunese ed il Sindacato Regionale del Veneto dei Giornalisti, insieme con le istituzioni (Regione Veneto, Provincia di Belluno, Comune di Longarone, Associazione Bellunesi nel Mondo e Fondazione Vajont) hanno istituito un premio alla memoria di Giuseppe "Bepi" Zanfron, non ho esitato un attimo per offrire un apporto testimoniale a questo proposito, riconducibile ai diversi anni trascorsi con il collega che ci ha lasciati nel 2017.
Dico subito di aver conosciuto per caso Bepi Zanfron in occasione di uno dei tanti convegni a cui, quando facevo vita pubblica nel contesto socio-politico, prendevo parte con vero interesse ed immutata passione, ultimamente anche nella Provincia di Belluno.
Proprio durante uno di questi convegni in terra bellunese dopo il mio definitivo trasferimento da Venezia, conobbi Bepi che, quasi subito, mi parlo' dei tragici momenti vissuti di li' a qualche ora dalla tragedia. Vuolsi il caso che, pur senza conoscerci prima del predetto incontro, anch'io avessi vissuto contestualmente al collega, ovviamente con mansioni diverse, lui come fotoreporter, io in veste di improvvisato "soccorritore" per una serie di combinazioni di natura strettamente familiare, gli stessi identici e tragici momenti.
Ebbene, l'amicizia con Bepi, incomincio' successivamente a svilupparsi in maniera molto intensa, giorno dopo giorno, vuoi per l'intreccio della mia attivita' di giornalista che aveva necessita' di essere corredata dalle foto, vuoi per il fatto che, anche Bepi, faceva parte con me del Direttivo dell'Associazione Stampa Bellunese come fotoreporter, ma anche per altre svariate ragioni; ricordo infatti il suo ottimo servizio sull'inaugurazione della Filiale di Belluno della Banca Commerciale Italiana, in Piazza Piloni, ove feci un intervento inaugurale, nella mia veste di Funzionario della stessa, durante il quale Bepi Zanfron fece alla Banca il dono graditissimo di molte splendide foto. Ad evitare possibili malintesi, chiarisco subito che a quel tempo svolgevo la professione bancaria in contestualita' a quella di giornalista.
Che dire poi degli incontri successivi con Bepi, anche nella mia casa di Feltre, per scambiarci gli auguri di Natale insieme con alcuni colleghi di Telebelluno, del Gazzettino, del Corriere delle Alpi ed anche del titolare della Sala di Cultura De Luca, Francesco De Luca, nonche' di Italo Salomon di Telebelluno (ex mio collega Bankitalia, pure lui ex-bancario poi giornalista come me)personaggi illustri che, in questa sede voglio ricordare con Bepi dopo la loro scomparsa? Dei quali riporto la foto qui sotto?
Onestamente non saprei da dove e come iniziare queste poche righe per cui scrivero' in... modalita' "random" cercando, per quanto difficile, di mettere insieme gli eventi che, in qualche modo, ho vissuto contestualmente a Bepi, e cioe' "saltando" qua e la' come faceva Bepi fra le macerie del Vajont, sulla base di quanto mi viene alla mente mentre scrivo.
Arrivai a Longarone, da Venezia, poche ore dopo il disastro per accompagnare alcune persone della SIP (allora si chiamava cosi' l'attuale Telecom) a cui era stato dato l'incarico urgente di ristabilire i contatti telefonici. Appena arrivati, ciascuno ha preso la sua strada in direzione dei compiti che gli erano stati affidati, mentre io, forse spinto dal desiderio di rendermi utile, ottenuta l'autorizzazione da parte del Comando di allora dei Carabinieri di Trento e Bolzano, documento esposto sul parabrezza della mia Fiat 600 bianca (di cui a foto), ho incominciato a "girovagare" fra le macerie, i morti, le campane staccatesi dal campanile, le case distrutte, l'erba stirata come lenzuola a seguito del passaggio impetuoso dell'acqua a ridosso della strada, documenti bancari riservati che, anche per devianza professionale, ho raccolto e consegnato all'allora Direttore Generale della Banca Cattolica del Veneto di Venezia-Mestre, dott. Lovisetto, il quale, sentendo l'odore acre dei disinfettanti, dopo avermi ringraziato (io lavoravo in una Banca concorrente), ha ordinato subito di triturare il tutto ad evitare epidemie, come ho scritto in un articolo sulla stampa che riporto piu' avanti, ovviamente da adattare ai tempi.
Dai successivi incontri con Bepi Zanfron (che al momento della tragedia non conoscevo), ho avuto il riscontro oggettivo che pure lui osservava me senza conoscermi per cui, mettendo successivamente i discorsi insieme,tutto finiva per collimare alla perfezione, addirittura nei particolari. Stessa cosa dicasi per il Generale AngeloBaraldo col quale ho fatto amicizia qualche mese piu' tardi in vari incontri presso la Sala di Cultura De Luca di Belluno, il quale, pure lui mi raccontava le stesse particolarita' che,Zanfron ed io, ci scambiavamo.
Va detto per i piu' giovani che, nel 1963 non c'erano le macchine fotografiche sofisticate come adesso. Infatti, ricordo di essere partito da Venezia con una vecchia Kodak 6 x 9, al cui interno era necessario inserire un rullino che, al massimo, faceva 8 foto. Vuolsi il caso che, una volta finito il rullino, a Longarone non fosse possibile ovviamente trovare un negozio per la sostituzione...in quanto, purtroppo, in quei tragici momenti, non c'erano neanche lacrime per piangere, non dimenticando, tra l'altro, che le 4-5 foto che ero riuscito a scattare, non hanno potuto essere sviluppate quasi per una beffa del destino, riconducibile ad anomalie della macchina fotografica obsoleta, ma quasi certamente correlate anche all'ansia del momento.
Atteso che tanti giovani risultano ancora molto disinformati sulle vere cause della tragedia, vorrei da subito, ed ad ogni fine utile, mutuare le parole scritte dallo stesso Bepi Zanfron, a pagina 15 del suo libro "Vajont 9 ottobre 1963":
...alle 22.39 del 9 ottobre 1963 dalle pendici del monte Toc, preceduta da evidenti segni premonitori, si stacca su un fronte di quasi 2 chilometri una massa di roccia valutata in 260milioni di metri cubi che alla velocita' di 50-60 chilometri all'ora precipita nel bacino del Vajont, in quel momento a quota 700,42 cioe' 25 metri sotto il livello di massimo invaso della diga a doppia volta piu' alta del mondo.
E' una frana che non ha riscontro tra quelle cadute in epoca storica in Europa: il materiale raggiunge l'altezza di 400 metri sul fondovalle, tanto che nel punto piu' elevato sormonta la diga di 140 metri. Solleva 50milioni di metri cubi d'acqua fino all'altezza di 230 metri. L'ondata devasta gli abitati del Comune di Erto e Casso e poi, superato lo sbarramento di cemento armato, si abbatte come un maglio nella valle del Piave mutilando Castellavazzo e cancellando Longarone. Quasi 2000 le vittime...
Dopo questa precisazione vorrei aggiungere che dai tanti anni di frequentazione di Bepi, persona umile e sempre disponibile, che dette sue doti, almeno a mio giudizio, sono state scarsamente riconosciute, se non addirittura by-passate, per cui mi pare giusto in questa sede dirgli ancora una volta grazie.
Come faccio poi dimenticare una sua richiesta di acquisto della predetta mia FIAT 600 bianca che sarebbe servita per la realizzazione del film sul Vajont ad opera del regista Renzo Martinelli?Richiesta che non ha potuto essere esaudita (cosa di cui mi dolgo ancora adesso) in quanto detta macchina era stata da me rottamata soltanto qualche mese prima? E che dire dei numerosi riconoscimenti ricevuti da Bepi anche presso l'Ordine dei Giornalisti del Veneto ove anch'io gli ho manifestato il mio vivo apprezzamentodurante la consegna del premio alla carriera, alla presenza dei suoi familiari?

Qui sotto, vorrei riportare alcuni miei articoli di giornale che, direttamente ed indirettamente riguardano il lavoro di Bepi Zanfron


LONGARONE 50mo ANNIVERSARIO DELLA TRAGEDIA DEL VAJONT (1963-2013) RADUNO DEI SOCCORRITORI.

Durante quest'ultimo mezzo secolo, mi e' capitato piu' volte, anche su altri giornali, di ricordare l'immane tragedia del Vajont che causo' la morte di 1910 persone, realta' che mi porto in cuore da allora, anche perche' vissuta molto e molto da vicino, forse anche piu' di tanti bellunesi, i quali, non ancora nati, millantano ancor oggi di aver vissuto direttamente tale tragedia, mutuando il racconto non sempre fedele da parte dei nonni, genitori e parenti, nonche' sopravvissuti al disastro...
Raccontavo in passato, e devo giocoforza ripetermi con articoli datati, alcuni fatti che mi hanno investito in prima persona dopo la tragedia. Ero andato li' casualmente per accompagnare alcuni tecnici della SIP e, quasi automaticamente, per istinto, ho voluto fare la mia parte.
A bordo della mia "FIAT 600" - come ho gia' raccontato poco fa - transitando fra le macerie della tragedia, con il permesso del Comando dei Carabinieri di Trento e di Bolzano, ho visto di tutto: ruderi, case seppellite fra loro, chiese crollate e tante tante casse da morto distribuite un po' dappertutto. La puzza dei disinfettanti mi bruciavano gli occhi, l'erba a lato della ex-strada, lambita con estrema violenza dall'acqua, pareva "stirata" come un fazzoletto, una campana della chiesa aveva trovato una collocazione quasi "miracolosa" dopo il trambusto infernale, ecc. ecc. Per devianza professionale, in veste anche di bancario, ho sentito il dovere di raccogliere diversadocumentazione "riservata" che ho consegnato alla Direzione Generale della Banca di Venezia-Mestre, il cui direttore generale, ringraziando, mi disse: "Ragazzo mio, (allora avevo 28 anni mentre ora ho superato gli 83 ndr.) trituriamo il tutto ad evitare di infettarci..." Ricordo che l'odore della formaldeide-cloroformio, rimase nella mia "600" per oltre un mese..., c'era allora il Generale Angelo Baraldoche coordinava i soccorsi, Bepi Zanfron che documentava la tragedia (personaggi questi ultimi che ho conosciuto personalmente a Belluno, per fortuna in altre occasioni, soltanto molti anni dopo a seguito del mio trasferimento da Venezia). Ho saputo successivamente anche della presenza del Generale Guglielmo de Mari il quale diceva di aver visto Bepi Zanfron mentre "saltellava" da una parte all'altra delle rovine per scattare le foto.
Detto Generale - mi e' stato riferito - veniva addirittura pressato dai familiari delle vittime che volevano che fosse loro consegnato il corpo integro dei loro cari e non soltanto qualche parte, come succedeva ahime' scavando nei punti indicati dai familiari stessi.
In questi anni, fino all'ultima commemorazione, con tutto il rispetto per i morti ed i superstiti...mi e' parso (non lo dico con malizia) che si ripeta anche una certa coreografia fatta di tante e nuove parole da parte di varie autorita' che allora non erano ancora nate, al punto che questo tipo di commemorazione pare avere il sopravvento sul vero ed autentico significato della tragedia per trasformarsi in una giornatain cui, una sorta di "rivitalizzazione turistico territoriale" riveniente dalla strumentalizzazione del dolore, confligge con la morte di tanta povera gente. Ed in questo contesto, denunciatemi se non e' vero, c'e' chi ci ha guadagnato milioni e milioni di lire in tutta la provincia di Belluno, eccome! E non aggiungo altro, dopo essermi tolto questo sassolino (anzi macigno) dalla scarpa.
Sono e resto dell'opinione che, al momento della tragedia, coloro che erano al di sotto dei 10-15 anni, ed ovviamente anche chi non era ancora nato, non possano capire piu' di tanto la tragedia del Vajont, anche se ora si spendono un po' gratuitamente nelle parole, talvolta colpevolizzando piu' del necessario.
Bepi Zanfron, grazie alla sua esperienza vissuta in prima persona in questa tragedia e tenuto conto che il premio alla memoria di Bepi investe il contesto giornalistico al quale Bepi apparteneva come esperto fotoreporter, tutto cio' mi offre lo spunto per qualche riflessione. Sia da una parte che dall'altra. E mi spiego.
Io lavoravo a pochi metri dalla SADE di allora, a Venezia... e anche oggi, a 50 anni di distanza, provo tuttora una qualche sofferenza per quegli ingegneri criminalizzati (che ho conosciuto personalmente per motivi professionali, come i Semenza ed i Biadene) i quali di certo non volevano uccidere. Onestamente mi sento di dire che, dopo aver avuto l'occasione di ascoltare a Venezia detti personaggi, l'imponderabilita' di questa immane tragedia va a braccetto con errori umani riconducibili solo e soltanto a detta imponderabilita', molto accidentale ed assolutamente imprevedibile, che molto verosimilmente avrebbe potuto investire anche la migliore scienza ingegneristica, per cui trovo strumentali molti feroci articoli anche da penne illustri come Gianpaolo Pansa che, nella prefazione di un libro, ha connotato la tragedia come uno strumento di solo profitto a tutti i costi.
Per contro allora, dovremmo citare anche tre penne altrettanto illustri come quelle di Indro Montanelli, di Giorgio Bocca e di Dino Buzzati (tra l'altro bellunese) che, imputarono il disastro ad un caso fortuito, accusando i "tecnici della prevedibilita'", alias le cassandre, di combattere una battaglia politica a favore della nazionalizzazione, pur essendo chiaro che qualcosa non stava funzionando nell'area del Monte Toc. Ci sarebbe anche da chiedersi perche' la segnalazione della Sade, qui sotto fedelmente riportata, fatta ai comuni anche piu' piccoli non sia stata accolta da coloro che adesso accusano a voce alta, anche per altri motivi che si scontrano con l'etica del dolore per i morti.
Alla fine dell'estate del 1963 i capisaldi rilevarono movimenti preoccupanti della montagna, quindi venne deciso di diminuire gradualmente l'altezza dell'invaso, arrivando alla quota di sicurezza, ed il Comune di Erto su sollecito dei tecnici S.A.D.E. emana la seguente ordinanza:
"Avviso di pericolo continuato. Si porta a conoscenza della popolazione che gli uffici tecnici della Enel-Sade segnalano l'instabilita' delle falde del monte Toc e pertanto e' prudente allontanarsi dalla zona che va dal Gorc, oltre Pineda e presso la diga e per tutta la estensione, tanto sotto che sopra la piana. La gente di Casso, in modo particolare, si premuri di approfittare dei mezzi che l'Enel-Sade mette a disposizione per sgomberare ordinatamente la zona, senza frapporre indugio, con animali e cose. Boscaioli e cacciatori cerchino altre plaghe e siccome le frane del Toc potrebbero sollevare ondate paurose su tutto il lago, si avverte ancora tutta la gente e in modo particolare i pescatori che e' estremamente pericoloso scendere sulle sponde del lago. Le ondate possono salire le rive per decine di metri e travolgere annegando anche il piu' esperto dei nuotatori. Chi non ubbidisce ai presenti consigli, mette a repentaglio la propria vita. Enel-Sade e autorita' tutte non si ritengono responsabili per eventuali incidenti che possono accadere a coloro che sconsideratamente, si avventurano oltre i limiti sopra descritti".

Certamente, la SADE ha le sue responsabilita' che la inchiodano come, almeno dal mio punto di vista da profano, l'ordine urgente di abbassare il livello dell'invaso, circostanza che ha determinato un forte calo di pressione all'invaso stesso con le varie conseguenze riconducibili al distacco del monte Toc. Del resto, in quei momenti tragici, un qualche rimedio, seppur inutile, quelli della SADE lo dovevano pur tentare.
Ma allora, quanto a responsabilita', sia pur in contesti diversi che hanno pero' come unico denominatore l'uomo, si dovrebbe fare altrettanto per il crollo del ponte di Genova che, mentre sto scrivendo, non ha ancora responsabili. Ed i massi che si staccano ad ogni pie' sospinto nei pressi di Cortina d'Ampezzo sono tutti ascrivili ad errori umani? E che dire del crollo del tetto della chiesa di San Giuseppe dei Falegnami avvenuto ieri, (ndr. 30.08.2018) in pieno centro storico di Roma? Ecco perche' mi danno fastidio gli "scooperisti" del senno di poi, salvo rare eccezioni che pur ci sono state e ci sono anche ora!
"E' il giorno dei "mea culpa" dello Stato, qui a Longarone, dove oggi si sono raccolti quasi 5 mila volontari di protezione civile, vigili del fuoco ed altre associazioni, assieme ai soccorritori dell'alba del 9 ottobre 1963 ed ai familiari delle vittime del disastro ", hanno detto prima il capo del dipartimento della protezione civile, Franco Gabrielli, e poi il ministro per l'ambiente, Andrea Orlando.
"Come rappresentante di un pezzo di Stato, il cui compito e' la salvaguardia e la cura delle persone - ha detto Gabrielli - vi chiedo scusa". "Trascorrendo qui questi giorni - ha aggiunto - ho percepito come quella tragedia sia ancora una ferita molto aperta, come ci sia ancora una rabbia sorda, un lutto non ancora elaborato anche perche' nessunoha aiutato queste persone ad elaborarlo".

Di energia anche maggiore sono poi state le parole di Orlando, che ha anticipato di sentirsi in debito per non essere stato prima a Longarone "non da ministro ma da cittadino italiano". "Luoghi come questi - ha detto - dovrebbero essere le tappe fondamentali per un pellegrinaggio di costruzione della memoria e di religione civile. L'onere di rappresentare il governo qui e' molto grande perche' ho l'obbligo di assumermi colpe e responsabilita' che, per generazione, non mi appartengono ma che non possono essere dimenticate". "Bisogna chiedere scusa ai cittadini - ha proseguito Orlando - e questo lo Stato lo deve fare per il presente e per ogni volta che abbandona una persona.
Il ministro e' andato oltre aggiungendo che la consapevolezza dei rischi connessi all'instabilita' idrogeologica del Paese "non sono migliori rispetto a 50 anni fa". "Possiamo vantare una maggiore padronanza della tecnica, ma non dobbiamo mai abbassare la guardia e a tenere alta la guardia sono sempre le popolazioni locali. Le resistenze delle popolazioni e dei comitati non si possono sempre liquidare come localismi dei no, ci sono esperienze di chi vive nei luoghi che meritano altrettanto rispetto delle perizie tecniche. Le famiglie del Vajont si opposero e denunciarono per tempo cio' che gia' si sapeva e si poteva evitare".
Rilevando, infine, che con un " investimento sulla partecipazione attiva si puo' costruire un rapporto positivo fra politica e cittadini". Tema, quest'ultimo, non disgiunto da quello dello sbilanciamento di investimenti pubblici a favore di infrastrutture piuttosto che ad opere di prevenzione e che e' stato sottolineato dal presidente della Regione Veneto, Luca Zaia. "In questo Paese abbiamo bisogno di costruire meno strade e di realizzare piu' opere di prevenzione idrogeologica". "La vera sfida di civilta' per un territorio e' quella di mettere in sicurezza i propri cittadini. Credo non sia facile districarsi a Roma su queste partite - ha concluso Zaia, rivolto ad Orlando - ma noi crediamo che il dissesto idrogeologico sia la vera partita da giocare".
Insomma, tante belle parole che, al di la' di un severo e necessario "Memento Homo" per tutti, non devono infierire, a fini diversi e talvolta populisticamente, presso la gente; insomma, su questa tragedia, non si deve costruire continuamente anche una sorta di business (al di la' del doveroso ricordo delle tante vittime), ma e' necessario erigere seri e silenziosi monumenti alla memoria, riflettendo anche sul fatto che le vere colpe potrebbero essere state comodamente e gratuitamente generalizzate, senza riflettere un po' anche sull'imponderabilita' della natura, tanto da non poter attribuire tout court le colpesoltanto in capo agli addetti ai lavori, pur non esimendoli dalle loro responsabilita' professionali. A volte, come e' successo per i recenti fatti di Genova, anche i sensori davano risultati sbagliati. So che, dicendo queste cose, mi inimico con diversa gente, ma mi pare onesto e giusto non continuare a vedere le cose sempre da un'unica angolazione...e soprattutto da parte di chi non conosce i vari risvolti che le hanno determinate. Il discorso sarebbe lungo e complesso e quindi difficile da mettere insieme...
Pretendere che venga il Presidente della Repubblica a chiedere scusa, come da richiesta del Sindaco di Longarone (a mio avviso con un po' di...demagogia politica, pur ringraziandolo del diploma di soccorritore consegnatomi), mi pare quasi una forzatura che stride con quanto diro' in chiusura di queste mie affrettate considerazioni.
Vorrei aggiungere, ma questa e' una notizia di poco conto, avevo allora composto in musica un "Inno al Vajont" che, d'accordo con l'on.lePaolo De Paoli, amico del Presidente Ciampi, col quale si davano del tu come ho sentito da vicino, avrei dovuto suonare detto inno, realta' che poi, per complicazioni logistiche, non e' stato possibile fare.
A mio modo di vedere le cose (aspetto che non e' sicuramente in linea con il film sul Vajont di Renzo Martinelli) di acqua ce ne passa... vedo infatti in questo film piu' scenografia correlata ad altro rispetto alla vera dinamica della tragedia, sia pur nella rappresentazione della sua immane dolorosa realta'. Insomma, cavalcare il dolore in funzione della buona riuscita di un documentario o per altri fini, e' un po' deviante, perche' analogamente, a parte l'eccezione mass-mediale della tragedia di Marcinelle che ha avuto forte risonanza per le sue dimensioni europee, si dovrebbe appunto fare altrettanto per i tanti minatori che muoiono ancora, quasi dimenticati...nel piu' assordante silenzio, anche nelle viscere della terra. E senza alcun sostegno a favore delle famiglie. A chi si dovrebbe chiedere scusa in questo caso?
Dico questo perche' su questo argomento, credetemi, potrei spendere qualche parola... e con lo stesso dolore che provo tuttora per i 1910 morti del Vajont, su cui ho scritto tanto, sia da una parte che d'altra, anche in veste di Direttore della Rivista "Il Minatore".

ECCO COME HO DATO L'ESTREMO SALUTO NELLA CHIESA DI CASTION-BL ALL'AMICO COLLEGA BEPI ZANFRON
Bepi, voglio salutarti con queste poche e semplici parole, prendendo a prestito le tue caratteristiche di persona semplice, ma sempre disponibile in ogni occasione per comunicare con gli altri, anche e soprattutto, attraverso quella tua macchina fotografica che ha fatto viaggiare le tue foto in tutto il mondo. Non posso dimenticare la tua presenza in tante occasioni che mi hanno riguardato anche personalmente come l'inaugurazione della nuova sede della Banca Commerciale Italiana a Belluno, la presentazione di qualche mio libro, i vari incontri nei consigli direttivi dell'Assostampa bellunese presso la Sala di Cultura De Luca, la premiazione per la tua professionalita' presso l'Ordine dei Giornalisti di Venezia durante la quale ho speso col cuore alcune parole nei tuoi riguardi, i vari incontri a Longarone per ricordare la tragedia che tutti conosciamo, l'incontro conviviale a casa mia a Zermen insieme con i giornalisti di Telebelluno ed altri giornali, ma soprattutto voglio ricordare quando, poche ore dopo la tragedia del Vajont, eravamo insieme senza saperlo, con compiti diversi, fra le macerie causate dalla diga per conoscerci molto piu' tardi e cioe' a tragedia avvenuta.
Mi ricordo anche, e di cio' sono dispiaciuto, che mi avevi chiesto la mia vecchia Fiat 600, per il film sul Vajont, ma che non mi e' stato possibile farlo perche' appena qualche settimana l'avevo rottamata. Avrei tante cose da aggiungere, ma vengo all'essenza di questo mio breve saluto di commiato. Bepi, la tua semplicita' non disgiunta dal tuo modo di porti di fronte alla gente, costituisca, per chi rimane, un forteesempio di cui la moderna societa', stravolta da una miriade di inutili e spesso create ad arte complicazioni, avrebbe veramente bisogno per vivere meglio.
Ciao, amico Bepi.

CONCLUSIONI
Vorrei fare delle considerazioni finali, se vuoi anche strettamente soggettive, premettendo che, molto verosimilmente questa mia testimonianza potrebbe apparire un po' auto-celebrativa, ma non e' assolutamente cosi', in quanto quasi tutti gli argomenti citati si integrano molto saldamente con l'operato di Bepi Zanfron al punto da coagularsi in una cosa sola: la realta' tragica che, insieme con lo scrivente, ha coinvolto in prima linea tanti personaggi, ovviamente a partire da Bepi Zanfron, al Generale Angelo Baraldo, al Generale Guglielmo de Mari e, molto piu' in la', appunto anche lo scrivente, tuttora portatore di fatti e storie che sarebbe impossibile raccontare in questa sede.
Io penso che il mondo stia vivendo una particolare situazione che da' adito a molte sorprese, spesso anche tragiche, semplicemente per il fatto che l'uomo, spinto dalla necessita' volta alla sopravvivenza personale, spesso dall'egoismo, ma anche - se vogliamo dirlo onestamente -nell'interesse della collettivita', non e' piu' in grado di immaginare le conseguenze che, i progetti piu' arditi, se vuoi anche suffragati e supportati dalle non sempre consolidate esperienze scientifiche di utilizzo futuribile, possono trarre in inganno, soprattutto quando si ha a che fare con la natura che non sempre e' in perfetta simbiosi con l'opera dell'uomo stesso.
Anche per questo dobbiamo premiare il grande lavoro di Bepi Zanfron, i cui documenti fotografici che ha lasciato al mondo intero, costituiscono gia' un "memento homo" su cui riflettere onde evitare che tragedie come quella del Vajont, ma anche di tante altre, non debbano piu' accadere.
Bepi, durante il suo lavoro appassionato che non concedeva limiti agli orari, ha dimostrato che, operando nella semplicita' della condizione umana - egli infatti era un uomo semplice e, per questo, ben voluto e stimato da tutti - si possono fare grandi cose nell'interesse della conoscenza collettiva e, allo stesso tempo, discernere - attraverso la foto - sia il brutto derivante dalle tragedie, che il bello caratterizzato dagli entusiasmi insiti in situazioni piacevoli da ascrivere alla storia di ciascuno di noi.
Egli, era molto fiero ed orgoglioso della sua professione, tanto da essere estremamente difficile immaginare che, all'interno di qualche sua borsa, non avesse a portata di mano la sua preziosa macchina fotografica che immortalava, fra le altre tante cose, anche gli incontri fra noi giornalisti, alla presenza delle massime autorita' civili, militari e religiose. E' ancora sotto gli occhi la foto di un direttivo dell'Assostampa bellunese con il compianto Vescovo di Belluno, Mons. Vincenzo Savio che, prima di lasciarci, ha voluto darci il suo ultimo saluto in Vescovado, come da foto.
Ed infine, mi sento di dire, supportato dalla mia eta' certamente non piu' giovane (al momento della tragedia io avevo 28 anni e Bepi Zanfron 30), che mai come in questo momento storico caratterizzato da eccessi di conflittualita' in quasi tutti i contesti della vita sociale, sarebbe necessario prendere ad esempio lasua semplicita' di vita, anche professionale, da estendere a nostra volta in tutti i contesti esistenziali, esattamente come Bepi pare ancora suggerire a tutti noi dall'"al di la'", in direzione di una piu' razionale e sana consapevolezza del futuro che ci attende, nel rispetto delle persone e della stessa natura. Che ha piu' volte dimostrato di essere in conflitto con i continui maltrattamenti subi'ti dall'uomo, a tal punto che, per certi versi,sia pur in misura diversa, potremmo tutti ed ognuno considerarci solidamente responsabili degli eventi, sia che essi portino il nome di Vajont, Marcinelle o... Ponte di Genova.
A conclusione di questi miei ricordi, se vuoi anche con qualche inesattezza dovuta ad un po' di ovvia incompetenza nel contesto trattato, vorrei dire che Bepi si e' sempre nutrito di quella linfa professionale, pura e semplice, che attribuisce a pieno titolo questo premio alla sua memoria.

 


Le immagini inserite nel testo (dall'alto in basso)
- Bepi Zanfron con Arnaldo De Porti durante la consegna del "Premio alla carriera"  presso l'Ordine Regionale Veneto dei Giornalisti
- Bepi Zanfron
- foto della mitica Fiat 600 bianca con la quale lo scrivente ha attraversato un cimitero di detriti e macerie di ogni tipo,  non escluso purtroppo anche di resti
  umani
- attestato ricevuto dal Comune di Longarone nel 50esimo anniversario della tragedia

Arnaldo De Porti

 

 

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