Summer 1973
di Claudio Santoro
La
AMI 8 di Pierre, di un vago color rosso che virava sull'amaranto,
era dotata di un cambio a manetta, vicino allo sterzo e in breve
imparammo a governarlo.
I finestrini erano dei vetri scorrevoli, dotati di una sorta di
piolo girevole che, oltre ad essere utilizzato per la chiusura degli
stessi, serviva per regolarne l'apertura desiderata. Neanche a
parlarne di aria condizionata. Anzi "le chauffage" aveva deciso, di
sua spontanea volonta', di funzionare in quel torrido luglio del
1973, e, nonostante i nostri infruttuosi tentativi di spegnerlo, ben
presto la temperatura dell'abitacolo raggiunse livelli sahariani. In
pratica camminavamo su una specie di forno ambulante a quattro
ruote.
Ci si alternava alla guida e in genere Pierre (che era fresco di
patente) occupava il posto passeggero, dove svolgeva in modo
impeccabile il suo ruolo di navigatore, consultando cartine
geografiche e mappe di citta'. Con una di queste entrammo in
Saragozza e raggiungemmo in pieno centro, senza alcuna perdita di
tempo, l'ostello della gioventu' dove dormimmo quella notte.
L'esperienza non fu gran cosa, dato che fummo svegliati da gente che
bussava e decidemmo in seguito di dormire in pensioni o alberghi. La
stanza a quattro non era cosi' facile da trovare e, in genere, io
dormivo con Giovanni e Ado con Pierre.
Nei posti dietro, invece, stazionavamo Ado e io; il primo, per
ingannare la noia del viaggio, imbracciava la chitarra, facendone
sporgere un pezzo dal finestrino scorrevole aperto. La canzone del
momento era "Une belle histoire" di Michel Fugain che Franco
Califano aveva tradotto in italiano come "Un'estate fa".
Ingresso in Spagna
Il nostro soggiorno era a Rouze, nella casetta del nonno paterno
di Pierre, sita nel piccolo paese (100 abitanti) nella regione dell'Occitania
e al fresco dei Pirenei francesi, a 900 metri sul livello del mare.
Ricordo bene le case, semplici e montanare, con i loro tetti
rivestiti da lastre di ardesia che fungevano da tegole. Pierre ci
guido' in belle escursioni montane e raggiungemmo anche degli
splendidi laghetti.
Eravamo piuttosto vicini alla Spagna e quindi, pur essendo
sprovvisti di passaporto (allora necessario per entrare nella Spagna
ancora franchista), ci presentammo lo stesso con l'auto francese e
provammo a varcare il confine. Alcuni doganieri spagnoli indossavano
il buffo cappello della Guardia Civil di allora e ci trattenemmo
dalle risatine ironiche che correttamente valutammo non fosse il
caso di fare.
I gendarmi ci guardarono con una certa sufficienza: un'auto francese
con dentro quattro ragazzotti armati di chitarra.
"Tienes marjuana en tu guitarra ?" ci chiesero un po'
sardonicamente.
"No, nos otros tenemos cocaina" fu la nostra beffarda risposta che
strappo' loro un sorriso. Una sommaria perquisizione del veicolo e
ci trovammo in modo inatteso in terra iberica, senza neanche una
peseta in tasca, ma dotati di scarse lire italiane e qualche franco
francese.
Trovammo da subito i prezzi spagnoli del 1973 notevolmente
favorevoli e si mangiava e si dormiva con poco.
Le giornate erano ferocemente calde e il riscaldamento difettoso che
non riuscivamo a spegnere non aiutava certamente a rinfrescare la
temperatura dell'abitacolo.
Capito' anche che fermammo l'auto nei pressi di un campetto dove
alcuni ragazzi giocavano a pallone e dove noi tre ci unimmo
spensieratamente a giocare con loro. Pierre allora era piu' serio e
meno spontaneo di noi, ma sempre un ottimo compagno di viaggio.
Carreteras muy peligrosas
Le "autovias" di allora erano rigorosamente "carreteras" a tre
corsie, di cui la centrale era utilizzata come quella di sorpasso
per entrambe le direzioni di marcia.
I camion sfrecciavano a folle velocita' e capitava ogni tanto di
vederne qualcuno ribaltato in qualche tratto.
Il sorpasso diventava quasi un azzardo, dato che potevamo trovarci
una vettura proveniente in senso opposto, sulla medesima corsia
centrale condivisa. Occorreva molta cautela nell'affacciarsi
timidamente sulla sinistra, verificare un tratto utile per
effettuare il sorpasso, scalare la marcia e affiancarsi al camion
che veniva faticosamente lasciato alle nostre spalle.
Qualche camionista di buon cuore ci accendeva la freccia di destra
per segnalarci che potevamo sorpassare e, nella speranza che avesse
fatto bene i calcoli, ci fiondavamo sulla sinistra e ci lanciavamo
nel sorpasso alla velocita' consentita dalla vettura carica di
quattro persone.
Dopo la notte a Saragozza puntammo in direzione di Madrid, la
capitale, ma il caldo si era fatto cosi' intollerabile che a
Guadalajara decidemmo di fare una tappa e cercare se esisteva una
piscina dove tuffare i nostri corpi accaldati.
Consultando il libriccino di spagnolo che avevamo con noi formulammo
la frasetta: "Usted, por favor, donde sta la piscina municipal?". La
pronunzia alla spagnola della parola piscina, pero' aveva un
inconveniente: faceva scoppiare a ridere Ado e, ogni volta che ci
fermavamo per chiedere informazioni a qualche passante, in realta'
dovevamo fuggire immediatamente perche' Ado immancabilmente rideva
in faccia all'interlocutore che, ovviamente, si sentiva preso in
giro.
Ma alla fine riuscimmo a trovare la piscina che, per nostra fortuna,
forniva anche i costumi da bagno, dato che ne eravamo sprovvisti.
Mentre noi ci tuffavamo e sguazzavamo nelle fresche acque della
piscina, scoprimmo Pierre che, all'ombra di un giardino pubblico
leggeva tutto compunto un libro. Pierre sei un grande!
Alla fine arrivammo a Madrid e la pensione che avevamo trovato era
nella centralissima Puerta del Sol. Dopo una doccia e una sistemata
uscimmo per una passeggiata e per la cena. Al momento dell'uscita il
titolare della pensione ci parlo', ma capimmo ben poco, tranne che
batteva le mani e che pensammo fosse un applauso nei nostri
confronti.
Al rientro rimanemmo stupiti nel trovare la porta della pensione
sbarrata. I nostri tentativi al campanello e al portone erano
infruttuosi e nessuno ci veniva ad aprire. Cominciavamo a essere
infuriati e iniziammo a gridare, nel tentativo di farci sentire,
quando, all'improvviso, apparve un tizio, armato di un nodoso
bastone e con un incredibile numero di mazzo di chiavi. Dopo averci
scorto, lo stesso scelse una chiave, apri' il portone e ci fece
entrare. Nel farlo ci batte' anche lui le mani, dicendoci che era "el
sereno". Scoprimmo cosi' questa tipica figura della Spagna che
girava per il quartiere battendo il suo bastone per terra, allo
scopo di fare sentire la sua presenza e scoraggiare eventuali ladri
o malintenzionati. Era dotato delle chiavi dei portoni d'ingresso e
fungeva da guardiano notturno.
Dopo scoprimmo anche che questo ruolo era stato inventato nel
lontano 1715 e che ogni isolato aveva il suo "sereno", armato di
bastone che faceva la ronda notturna e che accorreva al richiamo del
battito di mani. Altro che applausi! Il titolare della pensione ci
aveva spiegato come rientrare la sera, ma noi non avevamo capito
un'acca!
Della visita alla capitale spagnola ricordo ben poco, ma i ricordi
si ravvivano per Soria, la cittadina di 40.000 abitanti circa che
incrociammo nel percorso di rientro in Francia. In verita' noi
volevamo prolungare il nostro soggiorno iberico, ma il battesimo del
figlio di un caro amico di Pierre ci indusse al ritorno.
La tappa e' ben ricordata per le "chicas" della citta' castigliana
che ricordavano molto le ragazze siciliane: brune, abbronzate e
formose quanto basta. Nella zona che doveva essere quella dello
"struscio" serale locale, la nostra presenza, di questi quattro
ragazzi forestieri dovette incuriosire non poco alcune ragazze del
luogo, che tanto fecero per fermarsi a chiederci da dove venivamo.
La provenienza italiana veniva ben accolta e apprezzata, mentre
Pierre si giocava il suo cognome Vidal, dall'evidente radice
spagnola. Intrecciammo un po' di chiacchiere e qualche passeggiata,
forse un gelato, ma i nostri bollori di ventenni rimasero del tutto
inappagati. Il tentativo di prolungare il nostro soggiorno a Soria
venne inesorabilmente bocciato dal no di Pierre e dal suo
appuntamento con il battesimo.
La fedele e surriscaldata AMI 8, poi ci ricondusse a rinfrescarci
sui Pirenei francesi e a Rouz
Claudio Santoro (Lecco) - gennaio 2021
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Une belle
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