Viaggio in Libia
di
Filippo Furia
04 novembre (quinta puntata)
Si puo' con la sola mancanza di dune giustificare un giudizio
frettoloso e ingiusto sul luogo dove abbiamo fatto campo? Forse sul
momento si puo' capire, ma stamani doverosamente non possiamo non
rivalutare questa parte di deserto, che, forse complici anche le
incerte luci dell'alba, ci offre un'immagine di se' diversa, piena di
fascino un po' misterioso e un po' fantastico, dolce ma anche
aggressiva con quelle creste quasi a disegnare minacciosi incombenti
giganti. Stamani il risveglio e' stato per tutti anticipato e con i
primi crepitii del fuoco anche i miei occhi si sono aperti, non c'e'
certamente il freddo del giorno prima, ma il tepore e' comunque un
tonico eccezionale. Bisogna far presto, senza indugiare pigramente
in nullafacenza, la tappa che ci aspetta oggi e' molto lunga e
difficile, puntiamo decisamente verso nord, verso l'Auiss o Awiss.
Dobbiamo attraversare una zona di sabbie molli, un fetch-fetch,
fuori dell'Akakus, percorrere un lungo hamada, per poi rientrare nel
labirinto. Il nostro cammino si snoda lungo un percorso eccezionale
tra dune* che disegnano mille forme, tra piccole e grandi barcane*
dalle geometrie quasi irreali disegnate dal grande scultore del
deserto: il vento. Spesso da questo mare infinito di sabbia emergono
rocce* che fanno volare la fantasia, raramente appare qualche
cespuglio, qualche acacia spinosa, intorno a noi solo il nulla. Ma
anche stavolta il deserto ci sorprende, avvicinandoci verso uno
degli ultimi siti archeologici, a conferma delle ipotesi di Marino,
ecco uno wadi, ma soprattutto ecco un cammello, immobile con il suo
mantello bianco si staglia all'orizzonte: anche quest'incontro
riesce ad avere un contenuto altamente spettacolare. Ma che ci fa
qui un cammello? Dentro una gola troviamo la risposta a questa
domanda retorica, due tende, un piccolo recinto per le capre e un
branco di asini (usati per portare l'acqua) ci fanno capire che
questo posto sperduto e' abitato, c'e' un uomo, un tuareg o piu' giusto
un targhi al singolare, che con le sue due donne vive qui facendo un
po' il ranger e un po' il pastore e facendo... figli! Non ha voluto
essere fotografato, peccato, ma ci ha consentito di "violare" il suo
mondo fatto soprattutto di grandi silenzi e non ha protestato quando
la cagnara e' diventata fanciullesca per l'improvvisato rodeo che Ale
e qualche altro hanno inscenato con gli asini. Quasi il sito e'
passato inosservato, maggiore l'emozione che questo incontro
inaspettato e' riuscito a darci. Salutato il nostro amico, a
proposito le donne c'erano ma non si sono viste, i suoi figli e i
suoi asini, proseguiamo il nostro viaggio puntando decisi su un
grande buco aperto in una roccia, quasi una piccola galleria
naturale. Raggiungiamo un luogo un po' particolare con delle guglie
che presentano incredibili naturali ricami a nido di vespa, siamo in
un sito importante, perche' qui i graffiti celebrano la fecondita'. E'
una serie di incisioni che forse la morale corrente arriverebbe a
definire pornografiche per la fin troppo aderente rappresentazione
dell'atto d'amore, per le forme invero un po' eccessive di un certo
organo (nasce da qui la nomea di certi popoli?). Superata la fase
libidica, si riescono a cogliere tanti particolari,
dall'acconciatura dei capelli della donna di chiara matrice egizia,
alla faccia del maschio chissa' perche' con le sembianze di scimmia,
ai mitici gatti mammoni, quanti ricordi infantili, anch'essi macropenuti,
sembrano quasi dei guardoni o dei guardiani di un luogo "divino", o addirittura i numi tutelari, per dirla con Frobenius, un
archeologo tedesco, grande studioso di questo mondo. Per nulla
turbati da queste rappresentazioni di sesso, facciamo tappa-pappa un
po' piu' avanti, in un posto piu' simile ad una fornace che a un
fresco luogo per pic-nic, con una piccola ombra solo ai piedi di
un'altura. A tenerci compagnia durante il pranzo e a dare un gradito
tocco di colore ci sono due piccoli mula-mula, graziosi uccellini
neri con un ciuffo bianco in testa e uno nel sottocoda. Alla ripresa
del viaggio usciamo dall'Akakus e subito si apre davanti a noi uno
hamada impressionante, sconfinato, da non riuscire a fissare la
linea dell'orizzonte, forse per l'assenza di traffico (sic!) i
nostri tuareg si scatenano, vanno a velocita' sostenuta incuranti dei
sobbalzi e di qualche altra cosa. Per circa un'ora camminiamo in uno
scenario piatto, immutato e immutabile. quasi senza piu' punti di
riferimento, poi un erg si para lontano, qualche cespuglio che man
mano che ci avviciniamo diventa quasi un filare di acacie spinose,
quelle delle giraffe per intenderci. Non e' il Murzuq come si poteva
pensare, ma un erg piu' piccolo chiamato Uan Kasa (non giuro sulla
grafia), e' pur sempre un erg pero', fascinoso e bellissimo con tante
dune ondulate, quasi un mare pieno di onde in un giorno di vento,
dai colori a volte quasi accecanti a volte sfumati, dal giallo-oro
al noisette, dal marroncino a uno strano lilla chiaro, soprattutto
laggiu' dove l'occhio appena arriva. Saliamo su una di queste dune,
tra le piu' alte, per godere di una splendida panoramica, per
riportare in una foto le emozioni forti provate. Una parentesi
affascinante, ma l'hamada e' ancora lungo, anche se ora si
cominciano a rivedere le sagome nere delle montagne dell'Akakus stagliate
all'orizzonte. Ancora uno wadi, ancora un po' di giallo verde di
cespugli, poi delle capre al pascolo (!), siamo giunti ad un altro
pozzo e, non ci nascondiamo, il solo vedere l'acqua ha un che di
rinfrescante dopo lo scenario bruciato e riarso delle ultime ore.
Alle porte dell'Akakus, siamo gia' nell'Auiss, un grandioso
anfiteatro di rocce, grandi terrazze di pietra sospese su guglie e
pinnacoli, paesaggio incredibile ed ammaliante, certamente uno dei
punti piu' magici nella grande magia dell'Akakus. Al grande tappeto
di rocce nere del reg ben presto si sostituisce un grande tappeto di
sabbia, dove le innumerevoli tracce di jeep disseminate intorno
testimoniano della frequentazione diffusa di questo luogo, ai limiti
veramente per l'incanto che suscita. Non c'e' esagerazione quindi in
queste parole, tutti sono colpiti dalla maestosa bellezza, tutti
vogliono sentirsi avvolti in questa atmosfera surreale, tanto che
smontiamo dalle macchine per proseguire a piedi quasi a non voler
alterare il silenzio, quasi per "perdersi" in questo dedalo non solo
di rocce, ma anche di sentimenti. Stavo quasi per dimenticare nella
cronaca del viaggio un piccolo incidente capitato nell'attraversare
il reg, abbiamo forato e vedendo poi le condizioni della gomma,
unica cosa non scolpita qui, con il battistrada completamente liscio
e con larghe chiazze di tela ormai consumate anche loro, vedendo poi
gli attrezzi in dotazione non si puo' non fare un grosso applauso a
Mohamed Abou che in breve risolve ogni problema, giusto in tempo a
far rientrare i battistrada e far ripartire cosi' la colonna in
carovana. Stiamo cercando il campo, qui c'e' l'imbarazzo della
scelta, ogni posto ha il suo fascino ed e' solo per l'incalzare del
tramonto che piantiamo i picchetti, inconsciamente si ritardava e si
continuava a girare per incantarsi nei mille piccoli particolari di
questo mondo, certamente fonte di ispirazione per i disegnatori di
Disney quando nel film Fantasia hanno descritto l'alba dell'umanita'
E, credetemi, chiudendo gli occhi con il ricordo a ritrovare le zone
vulcaniche dei namaskardi in Islanda, mi e' sembrato quasi di sentire
le note di Strawinskj e della sua Primavera, le note dolci e soavi
della Pastorale di Beethoven. Anche questo e' il deserto, capace di
produrre miraggi non solo per gli occhi, ma anche per la mente. Si
fa buio, si fa campo, si fa la pappa; tutti sembriamo molto sereni,
per nulla stanchi mentre intorno al fuoco seguiamo il canto di
Mohamed battendo ritmicamente le mani, seguendo le sue percussioni
su un bidone dell'acqua vuoto: all'improvviso due fari in lontananza
squarciano il buio. E' una guida di un campo vicino che si porta via
Ali' ed Ahmed, andranno a festeggiare, i campi qui intorno devono
essere tanti e ce n'e' pure uno fisso; per noi e' importante che siano
rimasti il gran sacerdote del the' e il cantante. Buona notte stelle,
buona notte ultimo spicchietto di luna e buona notte anche ai
satelliti che volteggiano sulle nostre teste, e' ora di andare a
dormire, mentre con l'ultima stella cadente nasce un altro
desiderio: per realizzarlo, stella, pensaci tu!
Filippo Furia
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