I FRUTTI DELLA PRIMAVERA
"E' un peccato fargli perdere un anno. E'
tanto bravo."
- "Voi cosi' dite?"
- "Ma certo. La quinta elementare per lui e'
tutto tempo per-duto".
- "Se e' cosi', signor maestro, facciamo
come consigliate voi".
Questa fu pressappoco la parte conclusiva di
uno scambio di
vedute fra il maestro B. e mio padre verso
la meta' del 1935 quando stavo per ultimare
la quarta elementare, avendo iniziato le
scuole a 5 anni e mezzo.
Il maestro B. passava per essere si' un
conoscitore infallibile del mondo infantile,
ma anche per uno che non disdegnava qualche
soldino per arrotondare il suo magro
stipendio e preparare gli scolari agli esami
di ammissione che, a quei tempi, erano
obbligatori per accedere al Ginnasio.
Detto fatto. Comincio' la preparazione e il
tempo degli esami giunse rapido alle porte.
- "Cosa ve ne pare?" chiese un giorno mio
padre al maestro.
- "Mi pare che tutto proceda bene. Il
ragazzo e' preparato e non dovrebbero
esserci sorprese".
La risposta del maestro fu la conferma che
la scelta di intraprendere gli studi fosse
giusta, che il primo passo verso
l'innalzamento culturale e il miglioramento
qualitativo dello status della nostra
famiglia fosse indovinato.
C'e', immagino, in tutte le famiglie un
momento alto come questo e mio padre, lo
ricordo benissimo a distanza di tanto tempo,
se ne rese interprete - lui tanto schivo per
natura - attraverso un'emozione repressa che
pure fece capolino da un breve tremolio
della voce e da un subitaneo luccicare dei
suoi occhi grigio verdastri. Era felicissimo.
Quando giunse il giorno della prova scritta
di italiano, mio padre si alzo' di buon'ora,
ando' a prelevare dalla stalla la mula di
zio Peppino, e la condusse davanti al
calesse. Le lego' al capo un sacchetto di
avena, che era il modo piu' spiccio per
somministrarle il pasto, e torno' a casa per
svegliarmi e cambiarsi d'abito.
Di li' a poco fummo pronti di tutto e
c'incamminammo, accompagnati dal saluto di
mia madre che rimase sulla porta fin quando
ci pote' vedere, verso la casa dello zio,
davanti alla quale la mula aveva gia'
consumato l'avena.
Mio padre - in abito blu scuro, col cappello
nero a tese leg-germente piu' larghe del
dovuto - la slego', la porto' a bere nel
pozzetto della vicina fontana e quindi
l'assicuro' alle stanghe del calesse coi
finimenti di cuoio unti e bisunti.
Montammo e ci avviammo lenti verso la
pescheria dove ci attendeva il maestro B.
che sali' e prese posto sul lato sinistro.
Io ero in mezzo.
Dopo i convenevoli e i saluti ai paesani,
che incrociammo lungo il percorso prima di
lasciare il paese, la mula fu sollecitata al
trotto verso S. Anna. La strada, lasciate le
ultime case, corre lungo il muro di cinta
del cimitero e sembro' che i due
aspettassero di superarlo, dopo essersi
scappellati, per abbandonare il tono fra il
severo e l'assonnato tenuto fino a quel
punto.
- "Avete dormito bene, signor maestro?"
chiese mio padre per rompere il silenzio.
- "Si, si" rispose quello. "Per giunta ieri
sera ho bevuto un bicchiere di vino in piu'
e, sapete com'e'?, si trattava di vino di
Terramala, percio' il sonno non solo venne
facile facile, ma fu profondo e saporito.
Ora mi sento proprio bene. E tu come vai?"
aggiunse rivolto a me.
- "Bene, signor maestro" gli risposi
sbadigliando.
- "Svegliati ragazzo" incalzo' "e ripassa
mentalmente i temi che abbiamo svolto in
questo periodo. Vedrai che la scelta cadra'
su uno di questi".
Mio padre, redini e frusta in mano, giro' il
capo verso di me per accertarsi che seguivo
le parole del maestro, e quando s'accorse
che - cullato dal trotto della mula sulla
strada sconnessa - le mie palpebre erano sul
punto di arrendersi al sonno, alzo' lo
sguardo sconsolato verso il maestro, strinse
le labbra e dondolo' il capo con una smorfia
rassegnata come a significare "Cosa volete
farci, sono fatti cosi'!".
Mi svegliai che eravamo ormai alle porte di
Palmi dov'era il Ginnasio nel quale avrei
dovuto sostenere l'esame.
Vi giungemmo con molto anticipo sull'orario
stabilito, com'era del resto nelle abitudini
di mio padre, sicche' egli ebbe il tempo di
portarsi da un commerciante all'ingrosso dal
quale avrebbe acquistato della merce, pasta,
stoccafisso secco, legumi, ecc. Ecco il
motivo per il quale, anziche' col treno,
egli scelse di portarci col calesse.
Poi passammo da una pasticceria dove mi fu
comprata una pasta e quindi ci avviammo a
piedi verso la scuola.
Vi entrai all'apertura del portone dopo che
il maestro mi fece le ultime raccomandazioni
e mio padre una carezza sul capo.
Confesso che quando fui dentro ebbi una
sensazione di vuoto; mi sentii solo seppure
in mezzo a tanti altri esaminandi che,
chissa' per quale misteriosa allucinazione,
mi apparivano enormemente piu' alti di me.
Piu' grandi di quelli delle scuole
elementari erano anche i banchi nei quali
prendemmo posto e cio' aggravo' il mio stato
di disagio.
Quando pero', terminate le formalita', un
professore detto' il tema, mi concentrai su
di esso e riacquistai la serenita' d'animo.
Cosi' almeno mi parve.
All'uscita, sul mezzogiorno, il maestro mi
venne incontro e mi investi' con un "Allora
! stamattina mi sembravi un cadavere. Ora ti
vedo bello rinfrancato e colorito, segno che
tutto e' andato per il meglio. Non e' vero?".
Mio padre se ne stava a breve distanza e
aspettava la mia risposta come chi e'
sull'orlo di un precipizio.
- "Si', si', dev'essere andato tutto bene"
risposi.
- "Era difficile? Qual era l'argomento?"
volle sapere il maestro.
- "I frutti della primavera. Questo era il
tema" conclusi.
- "Bene, bene. Ne parleremo lungo la strada
del ritorno" chiuse il maestro.
Mio padre trasse un lungo respiro e si
affretto' ad aprire un involto dal quale
uscirono delle pagnotte ancora calde
imbottite di mortadella e tutti i tre ci
avviammo verso una panchina nel piazzale
vicino, all'ombra - ironia della sorte - del
monumento ai Caduti.
Qui consumammo avidamente la nostra porzione,
mentre davanti a noi si affrettavano verso
casa, con i genitori alle calcagna, altri
scolari reduci, come me, dalla prova scritta.
Riuscivamo a sentire qualche mezza frase:
"Era difficile?", "Come t'e' sembrato?", "Quante
facciate?", alle quali i miei coetanei
rispondevano con gesti rassicuranti senza
parlare.
Poi ci dirigemmo a un bar e mio padre ordino'
del vino Malvasia che mi fece assaggiare.
Quel sapore caldo e ambrato, dolce,
lievemente frizzante e fresco, piacevole al
palato, mi rimase impresso a lungo.
Non perdemmo altro tempo.
Recuperammo il calesse con la mercanzia gia'
sistemata sotto il sedile e ripartimmo che
mezzogiorno era passato da un bel po'.
Avevo fatto i miei calcoli che saremmo
arrivati al paese quasi alla stessa ora del
treno, verso le due del pomeriggio.
Quando ci lasciammo alle spalle le ultime
case, il maestro B. dalla sua postazione mi
sparo' addosso, a mitraglia, una scarica di
domande attraverso le quali - immaginai -
voleva acquisire certezza del buon esito
dell'esame:
- "Il tema esatto era dunque "I frutti della
primavera"? Come hai iniziato lo svolgimento,
con quali parole, ricordi? Quali frutti hai
descritto? Hai rispettato i tempi dei verbi?
Quante facciate sei riuscito a scrivere?".
La strada in quel punto, correndo lungo una
serie continua di orti, e' esposta
sfacciatamente ai raggi del sole, che quel
giorno erano spietati.
Il fondo in terra battuta, bianco e
polveroso, era allucinante. Sul sedere della
mula si accanivano ronzando una decina di
mosche ostinate, inseguite dallo
sventagliare nervoso e inutile della coda.
Mio padre e il maestro avevano il capo
protetto dal cappello, io no. Sicche', alla
inconsueta fatica della mattinata, da quando
scesi dal letto a quando consegnai il tema,
si aggiungeva ora lo sforzo di ricostruire a
memoria la prova scritta e di sottostare al
tormento della calura insopportabile.
Ne' c'era da sperare in una maggiore
velocita' del calesse, perche' l'andatura
della mula e' quella che e' e non va al di
la' del trotto lento, specialmente in piano
e nelle medie distanze.
Mio padre era in apprensione, lo capivo dai
movimenti nervosi della mano che stringeva
le redini e dal tipico aprire e chiudere del
labbro inferiore, come se stesse per
assaggiare qualcosa, che denunciava il suo
stato di ansieta'.
- "No, la brutta copia non si puo' portare
fuori. Ho scritto quattro mezze facciate che,
in bella, sono diventate tre e mezza".
Feci una pausa per concentrarmi sulle
domande che mi aveva rivolto il maestro, ma
questi mi sollecito': "E poi?"
- "Ho incominciato descrivendo la primavera
come una festa che la natura celebra, con
cielo, abiti e colori nuovi, per esultare
del ritrovato benessere dopo il lungo
inverno, inteso come una specie di malattia.
Ho aggiunto che a questa esultanza generale
partecipano in festa tutti gli alberi, fra i
quali quelli da frutto".
Ora la strada s'era lasciata alle spalle gli
orti immergendosi negli uliveti, cosi' - pur
essendo il sole allo zenit - erano frequenti
le zone in ombra e meno feroci i raggi
infuocati.
Il maestro non mi concedeva respiro: "Forza,
forza" mi disse sollevando ripetutamente la
mano destra a palmo in su.
Io continuai: "Ho descritto poi gli alberi
da frutto, partendo dalla fioritura, i loro
frutti, con i piccioli, le foglioline, il
colore che via via acquistano grazie ai
raggi del sole. Ho elencato quali possono
essere consumati cosi' come sono e quali
invece debbono essere sbucciati. E poi ho
anche indicato quali abbondano dalle nostre
parti e quali no, e cosa da noi si fa per
poterli conservare il piu' a lungo possibile,
anche facendoli seccare al sole".
Il maestro, a queste ultime parole, ebbe
come un sobbalzo. Con la mano destra si
strinse il ginocchio sul quale era poggiata
e quasi grido':
- "Insomma, quali frutti hai descritto?".
E io pronto: "Ciliegie, fichi, albicocche,
pesche, uva, prugne, fichidindia".
La mano destra del maestro abbandono' di
colpo il ginocchio e cadde penzoloni fino a
lambire la bocca spalancata di uno
stoccafisso secco. Se non fosse stata il
preludio di una burrasca, la scenetta mi
avrebbe fatto crepare dalle risate.
Mio padre impallidi' e ricomincio' a muovere
nervosamente il labbro inferiore. Da questi
segnali inequivocabili ebbi in un baleno
l'esatta percezione dell'errore commesso e
mi ritrovai d'improvviso, fra stanchezza,
caldo, Malvasia e delusione, nelle medesime
condizioni di un pugile non piu' in grado di
opporre difesa e resistenza all'avversario.
Suonato, insomma.
Le successive parole del maestro "Ma ti pare
che tutti questi siano frutti della
primavera?" furono la mazzata finale, il
colpo di grazia. Ebbi appena il tempo di
sentire un'imprecazione irripetibile di mio
padre, digrignata fra i denti e una
bacchettata sulla schiena dell'incolpevole
mula, che caddi in un vero e proprio stato
confusionale. Un torpore generale
s'impossesso' dei miei muscoli e piano piano
mi sali' alla testa.
Insomma, non so dire con quanto disappunto
del maestro e rabbia di mio padre, dopo vari
e inutili tentativi di resistere, mi
addormentai come un baccala'.
Questa curiosa, provvidenziale situazione
facilito' evidentemente il compito del
maestro di calmare e rassicurare mio padre,
perche' al mio risveglio, ormai alle porte
del paese, non era piu' furente come lo
intravidi fra le nebbie del sonno incombente.
- "State tranquillo" gli disse scendendo dal
calesse vicino alla pescheria e, rivolto a
me: "Domani mattina vieni alle 8 che
facciamo una ripassata generale prima degli
orali".
Il tratto di strada che ora ci separava da
casa era breve e tuttavia vi incontrammo,
nonostante l'ora, un mio cugino e mastro
Ntoni il barbiere i quali, sapendo
dell'esame, chiesero in coro com'era andato.
Mio padre si limito' a rispondere muovendo a
destra e a sinistra una mano aperta, come
per dire "Cosi', cosi". E i due, conoscendo
la sua modestia, si allargarono in un
sorriso dicendo "Bravo, bravo" e "Buon
appetito" e proseguirono.
Per parte mia, in mancanza d'altro, mi
aggrappai a quel gesto, augurandomi che
rispecchiasse, oltre che il suo, anche il
pensiero del maestro B. L'appuntamento per
l'indomani mattina me lo faceva sperare.
Il maestro aveva anticipato, sulla scorta di
quel poco che ero riuscito a riferire della
prova scritta, il giudizio espresso poi
dalla commissione esaminatrice. Che, cioe',
l'esecuzione - al di la' della collocazione
temporale dell'oggetto - era stata ottima
dal lato descrittivo e della coerenza
formale dell'impianto. Se qualche dubbio
poteva rimanere, esso era legato al rispetto
dei tempi nell'uso dei verbi. Se, come si
augurava, avevo prestato attenzione anche a
questo delicato aspetto, non c'era nulla di
che temere.
Seppi queste cose per via indiretta,
attraverso cioe' il breve resoconto che mio
padre fece, con parole sue, a mia madre
durante lo scarico della mercanzia dal
calesse. Difatti le cose andarono proprio
come il maestro aveva intuito.
Durante le prove orali ebbi modo di diradare
ogni dubbio della commissione esaminatrice e
superare la prova con lusinghiera votazione.
(continua)