Irene
proveniva da una famiglia medio borghese,
ultimogenita di tre sorelle. Bruna, la maggiore,
scura sia di capelli, sia di carnagione, con le sue
guance rotonde e rosee e due occhi profondi,
autoritaria e fervente cattolica, era sposata e
madre di due figli, era la ginecologa affermata che
aveva seguito il parto di Sabrina. Stefania, di
incarnato piu' chiaro, piu' sottile e piu' bionda,
piu' graziosa della sorella per i tratti regolari e
per i suoi occhi verdi con le sopracciglia scure e
le ciglia lunghe che brillavano in un'eterna
espressione di serenita', era sposata da poco.
Appassionata di filosofia, dolce ed equilibrata,
ottima oratrice, aveva conseguito la laurea in
giurisprudenza e ora lavorava presso uno studio
notarile tra i piu' prestigiosi di Milano. Infine
lei, laureata in scienze della comunicazione,
impegnata da anni nel Mondo della Pubblicita'. Dei
loro genitori era rimasta in vita la mamma, Eleonora,
ormai ultrasettantenne e malandata. Il padre,
Tommaso era stato un principe del foro milanese e un
padre esemplare. Quanti bravi padri hanno avuto un
rapporto cosi' speciale e uno speciale feeling con
le proprie figlie? E quante figlie si sono sentite
fiere e privilegiate nell'avere nei loro padri un
riferimento solido, una miniera di saggezza? Ebbene
cosi' era stato per Irene, per le sorelle Stefania e
Bruna. Tre anni prima, la sua scomparsa, imprevista
quanto improvvisa, le aveva colpite al cuore con un
fendente di pari dolore rispetto all'amore cosi'
prodigo che avevano ricevuto. "Tommaso" e non
"papa'" si faceva chiamare dalle proprie figlie,
come se, insieme, fossero quattro coetanei
paritetici. Fu la perdita di una guida amorosa, di
esemplare umanita'. "Dobbiamo anzitutto ringraziare
la provvidenza di averci assegnato un tale papa'"
disse Bruna "Io sono la maggiore e ho avuto piu'
papa' di voi, ma penso che per tutte e tre
l'infanzia, l'adolescenza e la prima eta' adulta
siano state assistite da lui in egual misura e la
nostra introspettiva culturale, la nostra educazione,
la nostra sensibilita' ne siano i tangibili
risultati". Mamma Eleonora non era da meno, ma, una
volta rimasta vedova, era divenuta piu' taciturna,
vincolata ai ricordi del passato, sebbene ancora
attenta agli accadimenti delle figlie che desiderava
vedere il piu' spesso possibile. Considerava che la
morte non arrivasse con la vecchiaia, bensi' con
l'oblio. Un concetto ineludibile.
Da varie peripezie sentimentali, Irene era uscita
poco entusiasta del sesso maschile e, sulla base di
quelle esperienze, aveva considerato i suoi partner
piuttosto poveri di spirito e degli inguaribili
bambocci. Per una donna, il fascino e la bellezza
non potevano dipendere dalla misura del reggiseno o
da una taglia 42 di jeans. La bellezza di Irene
stava li', nella sua gabbia toracica che batte e a
volte tende a farsi male. Ma fino ad allora i suoi
ex non lo avevano capito, l'avevano, l'uno dopo
l'altro, soltanto illusa, preferendo due gambe
aperte e un bel corpo a un cuore sensibile e
generoso.
Il giorno in cui aveva concluso una convivenza di
breve durata, aveva raccolto in un lampo tutte le
sue cose ammucchiandole nel bagagliaio della sua
Ford Focus, dorata come i suoi sogni, e, senza tante
cerimonie, salutava con una stretta di mano, da
mercato delle vacche, il suo compagno, uno che
portava gli anelli sui pollici e lavorava al Catasto.
Quel ragazzo si chiamava Rodolfo ed era suo coetaneo.
Le era piaciuto, possedeva dei tratti artistici
anticonformisti che si delineavano nelle sue tele:
paesaggi in fiore o nature morte. Ma, in realta',
aveva capito che l'attrazione si legava all'aspetto
fisico e che in lui, a differenza di quanto aveva
sperato, s'annidava un piccolo cervello incapace di
maturare. C'era amarezza e c'erano tutti quegli
ingredienti che possono diventare come sabbie mobili
per scivolare nella banalita'. Quella sera stessa,
ripensandoci, in uno slancio di generosita' che
scaturiva dal dubbio di averlo trattato troppo male,
gli scrisse una mail di riconoscenza per l'amore che
avevano condiviso, per assicurarlo che il loro
abbandono era si' definitivo, ma non cancellava
quanto di bello c'era stato tra loro e, come congedo
diplomatico di quella iniziativa, poneva: Caro
Rodolfo, ho cessato di amarti quando ho capito che
non saresti mai stato in grado di dipingere il
rumore di un petalo di rosa mentre cade su di un
pavimento di cristallo. Lui la prese a male, si era
ripromesso di considerare le donne solo come oggetti
di piacere carnale o, tutt'al piu', da ammirare in
un quadro, da portare a letto o da dipingere, e le
aveva risposto, con acredine, sostenendo che la fine
del loro rapporto dispiaceva soltanto al suo cazzo.
Irene non la considero' una risposta cosi' offensiva.
Era impossibile prendersela con chi non riconosceva
il valore dell'etica. "Suo malgrado, forse un giorno
riuscira' a spogliarsi delle vesti di Peter Pan...",
penso' di lui e si limito' a guardarsi allo specchio:
il senso della bellezza la liberava di colpo da
qualsiasi insulto e la riempiva di un nuovo
desiderio di vivere.
Comunque la si mettesse, a trentasette anni, nel
dicembre 2009, poco prima del Natale, Irene ritorno'
single e ritorno' a stabilirsi nella sua casa di
famiglia, accanto alla madre, che l'accolse a
braccia spalancate e le disse: "Figlia mia, l'amore
non e' un vestito gia' confezionato, ma stoffa da
tagliare, preparare e cucire. Non e' un appartamento
chiavi in mano, ma una casa da concepire, costruire,
conservare e, spesso, riparare". In quella casa dove
era cresciuta con le sorelle, Irene aveva tutto il
tempo di riflettere, di cercarsi una ragione di
vita, sebbene non si sentisse completa per la
mancanza di un partner adatto a lei che non era piu'
una ragazzina. Sua madre aveva ragione. L'amore si
merita e si conquista e non lo si deve pretendere.
L'aveva capito bene. Sulla sua pelle e sul campo. Da
giovane si prodigava alla ricerca di un compagno,
quello vero, per sempre, ma anche quello che dura
qualche mese. Non le riusciva difficile, considerato
il suo aspetto, catturare gli sguardi anche dei
coetanei piu' ambiziosi. Ora non poteva piu' essere
cosi'. Se pure l'affetto di sua madre le dava
conforto, si sentiva stretta tra due vicoli ciechi:
l'idea di invecchiare da zitella e la considerazione
poco edificante della sua opinione sugli uomini.
Delle due opzioni, la prima l'affliggeva non poco,
l'altra le dava qualche chance in piu', impostata
sulla prospettiva di trovare un giorno un uomo che
facesse eccezione, meritevole di una bella ragazza
come lei. Irene si trovava nell'anima la brama
insoddisfatta di piaceri e di amore, l'amarezza di
non averne goduto e, nel cervello, una grande paura
di se stessa e della debolezza del proprio carattere,
il timore che la propria gioventu' le stesse
scivolando tra le dita a velocita' di crociera.
A capodanno, ricomponeva il bilancio dei propri
errori, ma intendeva riscattarsi. Ebbe l'abbraccio
di sua mamma e quello delle sue sorelle. A Bruna,
che le diceva: "Buon 2010, sorellina, auguri per il
tuo anno in piu' e per la saggezza che ne consegue",
faceva eco Stefania che, con la sua filosofia le
declamava: "Per ricostruire la propria immagine
positiva, sia psicologica, sia fisica, occorre
scegliere, come modello, quello che meglio aderisce
al ricordo di se' in un periodo felice della propria
vita". Ma, scorrendo con la memoria nel passato,
Irene scopriva che per rintracciare un periodo tanto
felice della propria vita avrebbe dovuto
ridiscendere all'adolescenza e, in particolare, come
se qualcuno avesse tolto il velo, al momento in cui
aveva fatto l'amore per la prima volta con il
ragazzino piu' dolce del liceo. Acqua passata: non
poteva piu' rappresentare un modello per lei.
Fu cosi' che, in quel nuovo anno, inghiottita dal
suo lavoro di pubblicitaria, si strinse nella sua
nicchia professionale collaborando in perfetta
armonia con Sabrina. Da quel connubio vennero
discrete soddisfazioni, nacquero gli spot di
Kukident (Head line concepita da Irene a fronte di
una coppia di anziani sorridente: Uno dei due non
porta la dentiera. Quale?), di Calzedonia e della
Camomilla Ribbon Beg che ebbero un gradimento sopra
le aspettative. Le trasferte in Sardegna e a Roma
per la parte operativa dei relativi progetti
contribuirono a distrarre le due collaboratrici
dalla routine di tutti i giorni. Irene trovo' in
Sabrina una persona matura, moglie e madre, a cui si
sentiva di confidare i suoi problemi, i suoi impulsi
e la mise al corrente dei suoi trascorsi di vita.
Una costruttiva e serena intesa era nata tra le due
donne. Le insicurezze di Irene si compensavano
grazie al carattere determinato di Sabrina che
sprizzava razionalita' e sfornava dei buoni consigli
che, in molti casi, Irene non sarebbe giunta a
concepire in autonomia. Ma era sempre pur vero che
le mancava un uomo.
Irene vestiva sempre con gusto ed eleganza, tanto
che un giorno Sabrina le chiese come facesse a
mantenersi sempre cosi' impeccabile. "Ogni mattina,
quando, ancora assonnata e un po' piatta, mi sto
vestendo" le rispose "mi pongo una domanda
definitiva: Andrei cosi' a cena con gli amici? No? E
allora perche' devo andarci al lavoro?". Nella sua
agenzia pubblicitaria si era formata una coda di
pretendenti. Parevano fatti con lo stampino. A Irene
non potevano interessare.
A maggio 2010, Irene partecipo' al Gala' della
Pubblicita' nel Pala forum di Assago, dove tutto il
mondo dei soloni del settore era presente. Al
vernissage che lo precedette ebbe modo di discorrere,
tra un calice di champagne e una tartina di caviale,
con Hubert Mantovani, un direttore artistico di alto
livello di un'agenzia concorrente alla sua. Aveva un
portamento nobile, considerato ardito sino alla
temerarieta', cavalleresco, era istruito e colto,
rappresentava l'ideologia moderna nel campo della
comunicazione. Su una rivista specializzata era di
recente apparso un suo articolo di rango dove, tra
l'altro, affermava: La pubblicita' non deve imitare
la vita perche' la vita imita la televisione di
basso livello. Una frase che era rimasta impressa in
tutti gli addetti del settore.
Rincasando a notte fonda, Irene, si distese nel suo
letto pensando a lui: un uomo elegante, sui
quarantacinque anni, con i capelli spruzzati di
bianco alle tempie, due profondi occhi scuri e un
portamento atletico. La sua voce tranquilla e
invitante, appena velata di nicotina, risuonava
nella sua mente come musica dell'anima mentre
rifletteva sui suoi discorsi, che dicevano del
futuro, dell'auspicabile inquadramento dei
pubblicitari in una categoria a se', distinta da
quella del commercio, delle campagne subliminali e
di altro ancora. "Un bell'uomo, una bella persona"
penso' " per di piu' affermata" e si addormento' in
compagnia del sapore dello champagne e del caviale e
del ricordo di quel piacevole meeting professionale.
Passarono i giorni. Poi arrivo' la notizia. Il
Direttore Generale dell'agenzia multinazionale dove
Sabrina e Irene lavoravano sarebbe stato sostituito
a breve dal Dottor Hubert Mantovani. Era un evento.
A quella notizia, che le aveva portato Sabrina,
Irene si accorse di arrossire come se quel
cambiamento avesse dovuto crearle imbarazzo. In cuor
suo sapeva che la sua azienda sarebbe stata condotta
da una persona di suo gradimento.
Avvenne che poche settimane piu' tardi, l'agenzia
ora condotta da Mantovani, vinse una gara per la
promozione del Twinings Tea, un risultato eccellente
a cui aveva concorso la coppia Sabrina-Irene. La
loro creativita' aveva saputo battere la concorrenza
di colossi come la Saatchi & Saatchi e la Publicis.
Il produttore dello spot sarebbe stato inglese e fu
fissato a Londra un incontro di due giorni con tutte
le parti coinvolte. Solitamente, in queste occasioni,
non e' necessario che partecipino sia l'art
director, sia il copywriter, ma uno solo dei due. Di
solito, se prevalgono gli aspetti artistici,
presenzia l'art director, se prevalgono gli aspetti
linguistici inerenti al messaggio pubblicitario, il
copywriter.
Questa volta si trattava del secondo caso e
Mantovani informo' Irene che il giovedi' successivo
avrebbe dovuto recarsi con lui a Londra per un
incontro di un paio di giorni.
La soddisfazione per Irene fu grande, la partecipo'
subito a Sabrina che ne fu contenta, consapevole che
sino ad allora erano toccate a lei quasi tutte le
trasferte precedenti e considerava un bene per la
sua collega questo viaggio che le avrebbe consentito
di ravvivare il suo status non del tutto
entusiasmante. "Brava, Irene" le disse "Poi mi
racconterai per filo e per segno come e' andata". "Senz'altro"
rispose con un rinnovato sorriso "come collega e
come amica!".
Appena di ritorno a casa, ne parlo' con la mamma e
comincio' a pensare all'abbigliamento e alle cose da
mettere in valigia per ben figurare accanto al
massimo esponente della sua agenzia pubblicitaria.
Si era fermata in cartoleria per l'acquisto di un
diario. Ne scelse uno rivestito in pelle,
consistente, con almeno un pagina per ogni giorno
dell'anno. Lungo la strada aveva infatti maturato
l'idea di mettere nero su bianco l'evolversi dei
suoi pensieri, a cominciare da quella nuova
esperienza professionale. Scrivere era il suo
mestiere e le piaceva. Quante volte le era capitato
di farsi balenare un'idea nel dormiveglia e doversi
alzare a scriverla per non scordarsela! Annotare le
proprie esperienze su quel diario le sarebbe potuto
servire anche a scaricare le proprie emozioni con un
getto di spugna sulle sue non eclatanti vicende
passate. Inauguro' quel nuovo processo mentale prima
di addormentarsi. Era lunedi' 21 giugno 2010, si
apriva l'estate. Inauguro' il suo nuovo acquisto con
queste parole: Si vis amari ama... ama, Irene, se
vuoi essere amata. Stese di getto le sue sensazioni
a cominciare dalla gara in cui con Sabrina si era
affermata per finire con l'annuncio del viaggio a
Londra con il suo gran capo, che defini' un vate
della pubblicita'.
Quel giovedi' mattina, all'aeroporto di Linate,
Irene fu puntuale, portava con se' un trolley con
incorporata una valigetta con tutto il necessario
per la presentazione dello spot. Indossava un
giacchino sciancrato di colore blu sopra un sottile
dolcevita beige, da cui le coppe del reggiseno si
intravedevano con discrezione, e un pantalone di
gabardine pure beige. Di li' a poco scorse Hubert,
gli si avvicino'. Irene aveva un buon profumo e si
muoveva con un fruscio cosi' piacevolmente femminile.
Lui non nascose uno sguardo ammirato, ma si limito'
a stringerle la mano e si diressero insieme al gate
di partenza. Salirono tra i primi sull'aereo della
British Airways e si accomodarono in business class.
Hubert le chiese di estrarre dalla valigetta i
documenti della presentazione per ripassarli insieme.
L'aereo aveva decollato e per circa mezz'ora
concordarono con precisione le modalita' di
comportamento per l'incontro e le eventuali riposte
in caso che venissero rivolte loro alcune domande
plausibili. I documenti erano ben disposti e
risultarono a Hubert incisivi ed efficaci. Si
distribuirono anche gli argomenti da trattare,
l'ordine di intervento e di alternanza tra loro.
Irene dimostrava di essere preparata, conosceva bene
l'inglese e aveva una bella presenza. Hubert ne fu
compiaciuto.
Passarono alcuni minuti in silenzio. Si bevvero un
te' e ognuno resto' assorto nei suoi pensieri. Per
un po'. Poi Hubert apri' il Times che gli avevano
offerto al momento dell'imbarco e si mise a
sfogliarlo. Ampio spazio destinava la cronaca alla
sciagura della Societa' inglese British Petroleum al
largo della costa della Louisiana. L'esplosione
della piattaforma Deepwater Horizon, avvenuta il 20
aprile precedente, aveva provocato un'inarrestabile
fuoriuscita di greggio a 1500 metri di profondita':
un disastro ecologico senza precedenti. Infine, si
soffermo' su un articolo singolare, si sposto' verso
la sua compagna di viaggio e glielo mostro'.
Trattava di Thorpe Park, un parco divertimenti
situato nei pressi di Chertsey, nel Surrey, alla
periferia Ovest di Londra.
Il pezzo cosi' recitava: La sua superficie si
estende per oltre due chilometri e al suo interno
ospita 26 attrazioni, nel 2007 ha accolto oltre 1,7
milioni di visitatori diventando il terzo parco di
divertimenti del Regno Unito dopo Alton Towers e
Pleasure Beach per numero di ospiti. All'interno
pare ci siano delle minacciose presenze. Un monaco
senza testa terrorizza i dipendenti del locale luna
park. L'apparizione e' stata presa cosi' seriamente
in considerazione da indurre i suoi proprietari a
trasferirlo. Che l'Inghilterra sia la patria dei
fantasmi e' storia vecchia. Il clima nebbioso, i
vecchi castelli, le leggende che circolano in
abbondanza hanno creato una mitologia di rilievo che
vuole che gli spettri si aggirino in massa
trascinando catene e lampade ad olio. Le indagini
hanno portato a costruire uno scenario inquietante.
Secoli prima, su quella stessa area, si trovava con
il suo cimitero l'abbazia di Chertsey, i cui resti
sono collegati a quella nuova. Questa abbazia risale
all'anno 666 dopo Cristo. Esattamente 666, il numero
da sempre legato al demonio. Che qualcuno di quei
monaci esegua riti esoterici? Ma non finisce qui.
Altre indagini hanno portato alla scoperta clou: le
fondamenta del parco giochi erano state costruite in
un'area dove in passato erano stati portati alla
luce sepolcri di pietra. Il luna park disturbava il
riposo dei monaci defunti? Esattamente come nel film
"Poltergeist", dove un intero quartiere cittadino
era stato costruito su un cimitero. La Terra e' un
immenso cimitero. Miliardi di uomini vi sono sepolti
ovunque. Ora il sentiero che attraversa Thorpe Park
e' stato chiamato Monk's Walk, la passeggiata del
monaco. Se di sera, sotto una sottile pioggerellina,
vi capita di incontrare per strada un folletto, non
incolpate la pinta di Guinness che avete assaggiato
in qualche pub, ma ricordate che siete in uno dei
Paesi dove la fantasia supera la realta' e dove
storia, miti e tradizioni si intrecciano in modo
quasi indissolubile.
"Una lettura benaugurale! Che cosa ne dici, Irene?".
"Beh, Direttore, l'invenzione dei fantasmi mi ha
sempre divertito, ricordo il film Ghostbuster,
l'ambiente e il clima anglosassone, i ruderi dei
suoi castelli, specie in Scozia sono una cornice
adatta alle scene piu' tetre. E mi sembra che gli
inglesi sappiano conviverci bene, rinnovando di
continuo il loro humour".
Hubert non commento' questa asserzione, ma si
espresse con un bel sorriso carico di complicita'.
"Come vede la Gran Bretagna nell'ambito della
Comunita' Europea?" a bruciapelo, chiese al suo
Direttore Irene, che, aggredita da una pausa
silenzio, sentiva il bisogno di spezzare quel po'
d'imbarazzo che la divideva da lui.
"Oh... " sospiro' Hubert "E' stata presa per i
capelli da Germania e Francia. Non credo che
collaborera' mai piu' di tanto. Dicono che i
francesi siano sciovinisti, ma probabilmente gli
inglesi lo sono ancor di piu', sebbene in modo
latente e di soppiatto. Si sentono superiori,
avevano conquistato il mondo, non hanno mai perso un
battaglia navale... e cosi' non penso proprio che
siano disponibili a rispettare tutti gli standard
europei come il colore dei taxi, il tenere la destra
sulle strade, ne', tantomeno di aderire all'euro.
Per loro sarebbe uno smacco e probabilmente anche
dannoso per la loro economia".
"Eh si', Direttore, temo che sia proprio come dice
lei".
"Bisogna accettare gli inglesi cosi' come sono e
cercare di sfruttarli per quanto possibile".
"Difatti, siamo noi a creare lo spot per il loro te'
preferito!".
"Proprio cosi', Irene, proprio cosi'...".
Al momento della sbarco nell'aeroporto di Heathrow,
il cielo era nuvoloso e la temperatura abbastanza
fresca, s'infilarono nella metropolitana,
destinazione Tottenham.
La riunione era fissata per le ore 14, mentre per la
mattina successiva era previsto il sopralluogo a
Covent Garden - l'antico distretto di Londra che
Enrico VIII aveva fatto trasformare da Convento in
mercato - dove era stato previsto di girare lo spot.
Percio' Hubert e Irene ebbero tutto il tempo di
raggiungere l'Hotel Russell, nella piazza omonima, e
depositarvi i bagagli. Nell'entrare nella sua
camera, Irene noto' con piacere che in un piatto di
porcellana, posato su di un tavolino, erano offerti
in bella mostra alcuni frutti: banane e mele. Le
banane erano sempre state molto gradite a Irene che
ne mangiava quasi ogni mattino a colazione arrivando
a intingerle nel te' al posto dei biscotti e,
persino, nello yogurt. Ne prese una, la sbuccio' in
quattro parti e comincio' a mordicchiarla. Si
avvicino' alla finestra che si affacciava sulla
piazza e osservo' il cielo. Le nuvole si erano
dissipate e il sole, avvolto da sottili veli di
foschia, pareva roteare pesante sul tetto
dell'albergo.
Erano da poco passate le 11. Senti' bussare. Apri'.
"Scendiamo. Uno spuntino leggero e poi ci avviamo
per l'appuntamento: ti sta bene, Irene?".
"Certo, Direttore, sono pronta".
Quel pomeriggio la riunione riusci' nel migliore dei
modi. La presentazione fu brillante. Nessuna
discussione di rilievo. Qualche ritocco alle
modalita' di realizzazione dello spot, definizione
nel dettaglio delle persone di riferimento.
Sopralluogo in Covent Garden per l'indomani alle 10.
Hubert e Irene si congedarono, uscirono
dall'edificio della riunione e presero un taxi.
"Mi pare andata bene, Irene non ti sembra?" le
chiese Hubert durante il percorso.
"Credo di si', spero di essere stata convincente,
Direttore".
"Direi proprio di si'. La tua parte e' stata la
fetta di torta migliore..." le rispose con un
sorriso.
Irene era emozionata e insieme contenta per la bella
performance. Ancor piu' sentendosi apprezzata.
Raggiunsero l'hotel intorno alle diciotto. Si
diressero verso l'ascensore e vi salirono.
"Irene, non vorrei essere mal interpretato, ma sono
sempre stato abituato a farmi dare del tu da tutti i
miei collaboratori. Un tu all'inglese. In una
prossima riunione ne parlero' a tutti in agenzia. Mi
sembra piu' comodo ed efficace."
Sbarcarono sul pianerottolo.
"Ora, visto che siamo a Londra" continuo' "ti
anticipo la richiesta. Te la senti di darmi del tu
da questo momento in poi?".
Irene si era sentita arrossire anche in questo
frangente, ma si seppe controllare come poteva e gli
rispose positivamente.
"Bene, Irene, che ne diresti di una cenetta a Soho
verso le venti e trenta?".
"Se lei non ha altri impegni, Direttore, per me va
bene".
"Se tu!".
"D'accordo... per che ora mi devo preparare?".
"Facciamo alle otto nella hall...".
"Saro' puntuale".
E si salutarono, questa volta entrambi con un ciao.
Nel locale di Soho, Irene e Hubert mangiarono del
buon pesce con un bianco italiano niente male. La
conversazione si era sciolta. Il tu rendeva le cose
effettivamente piu' facili. Hubert le parlo' dei
suoi studi, delle sue pregresse esperienze
lavorative e del suo hobby preferito, la vela.
Possedeva un cabinato di dodici metri ormeggiato nel
porto di Oneglia, in Liguria e, appena aveva del
tempo libero, lo raggiungeva e talvolta vi dormiva
considerato che aveva spazio per quattro comodi
posti letto.
"Come l'hai chiamato" le chiese Irene.
"Oh, l'ho comperato di seconda mano, si chiamava gia'
Ippocampo".
"Bello! Il cavalluccio marino".
Hubert evito' accuratamente di parlare della sua
famiglia e si sentiva affascinato da quella giovane
donna cosi' dolce, cosi' bella e cosi' preparata.
Attrazione che aumento' quando lei stessa gli disse
di essere single, dopo esperienze ormai superate.
Ma anche Irene se ne stava invaghendo. Si trovava di
fronte a un uomo di successo, padrone del suo
comportamento, sia nei gesti, sia nelle parole e nei
discorsi, mai banali, un uomo di bell'aspetto, ben
lungi dai maschi cosi' sciocchi e scontati in cui si
era sino ad allora imbattuta.
Uscirono dal ristorante poco dopo le undici e
s'incamminarono lungo Oxford Street. Lui la teneva
sotto braccio e parlarono ininterrottamente per
tutto il percorso. Entrambi dimostravano di essere
interessati l'un l'altra.
Rientrarono al Russell e Hubert, sulla porta della
camera di Irene, la saluto' con una carezza sulla
guancia e un sorriso. " A domani, allora... ".
Questa volta Irene capi' di non essere arrossita. Si
era gia' abituata a Hubert? Non avvertiva piu' la
gerarchia del Direttore? "A domani, Hubert, ti
ringrazio per la bella serata" gli rispose mentre
faceva scattare l'apertura della porta della sua
camera.
Il ringraziamento da parte di Irene tradiva qualcosa
di diverso da un semplice rapporto di lavoro e
Hubert non poteva non averlo notato, con
compiacimento e con maggiore attrazione. Si porto'
nella sua stanza e si disse che quella ragazza le
aveva allargato il cuore, da tempo era sazio di
Miranda, un po' scialba e ripetitiva, e il loro
rapporto di coppia stava in piedi per il bel passato
trascorso insieme, per i figli, ancora giovani e in
eta' scolare, per riconoscenza, ma non era piu'
alimentato da quella passione che, almeno in parte,
dovrebbe mantenersi efficace anche in una coppia
sposata da tempo.
Nell'intatto silenzio delle ultime ore di quella
prima giornata londinese, seduta al trumeau della
sua camera, Irene si era chinata a scribacchiare.
Indossava un pigiama di raso color della luna.
Scriveva nel diario: Ho inchiostro da sprecare?
Virginia Woolf, che abitava nel quartiere di
Bloomberg, proprio dove mi trovo ora, diceva che "Nulla
e' veramente accaduto se non e' stato scritto su un
diario". Volo in orario, viaggio piacevole, riunione
costruttiva. Londra: una citta' fantastica dove
tuttavia non mi piacerebbe vivere. Hubert: molto
interessante e acculturato. Mi piace. Una curiosa
sensazione. Mi sento come sciolta, per improvviso
incanto, dalla ferrea catena dei giorni lavorativi e
mi ritrovo a contemplare la mia vita come da un
balcone che si sia improvvisamente aperto con grandi
prospettive sul mio futuro. In questo momento Hubert
e' al centro dei miei pensieri (a cui seguivano tre
punti esclamativi). Domattina: sopralluogo per lo
spot Twinings.
Un diario scritto nell'impeto di un sentimento
appena scoppiato. Parole che non solo illuminavano
quella porzione felice della vita di Irene, ma le
permettevano anche di gettare degli sguardi profondi,
in parte sconcertanti, nei moti della sua anima.
Poi si fece scivolare nel letto, spense la luce, ma
lascio' aperte le tende. Si perse nella notte per
diventare sogno. L'indomani si alzo' di buon ora.
Aveva sognato che era felice di mangiare una bella
banana poco matura, come piaceva a lei, la prendeva
in mano soddisfatta. Irene capiva che l'aver sognato
di sbucciare e mangiare una banana, era allusivo al
sesso. Sesso desiderato, oppure rifiutato e represso?
Assumendo quella forma inequivocabile non doveva poi
essere cosi' represso... Messo in evidenza, con
senso di colpa, forse, ma anche con trasporto
spontaneo. Non era mai stata un'appassionata della
teoria psicanalitica sui sogni come l'appagamento
dei desideri. Non poteva pero' negare che, in quelle
situazioni oniriche, un'indecifrabile attrazione
soggiogante e premonitrice intratteneva la sua
coscienza con forza quasi insostenibile.
A Covent Garden il sole era gia' alto. Il ruolo di
Irene era di secondaria importanza, erano il regista
e il fotografo piu' implicati nella scelta delle
inquadrature e del bar dai tavolini all'aperto
prescelto come scenografia. Cosicche' si trattava
per lei e per Hubert solo di una rifinitura. Il
rappresentante della Twinings sembrava soddisfatto.
La settimana successiva lo spot sarebbe stato girato
li'. "Everybody Twinings, il te' per tutti" sarebbe
stata l'head line.
Hubert si avvicino' a Mr. Tafel, un uomo alto e
serioso, il produttore, e gli chiese, parlando
inglese, se, considerate le buone previsioni meteo,
non si sarebbe potuto girare di lunedi'. In tal caso,
avrebbe potuto trattenersi a Londra anziche'
intraprendere due viaggi. Si sedettero tutti ai
tavolini e ne parlarono. Per i presenti andava bene,
compreso il gestore dello stesso bar. Si discusse
brevemente sulla disponibilita' dei due attori
ingaggiati e, alla fine, si concordo' sul lunedi'
mattino, considerato anche che in quel giorno
feriale ci sarebbero stati meno curiosi e, quindi,
meno interferenze.
Verso le 13, Hubert e Irene, si congedarono dal
gruppo. Erano liberi. Avevano l'aereo per le 5 p.m.
ora di Londra, le 6 in Italia.
Hubert prese Irene sotto braccio e si incamminarono
in Neal Street. Le chiese "Sembra tutto perfetto,
non ti pare?".
"Mi sembra di si', il fatto che lunedi' il tempo
sara' bello e' determinante!".
"Proprio cosi', e sai cosa facciamo, Irene? Evitiamo
di ritornare in Italia per poi costringerti a essere
di nuovo qui lunedi'. Io potrei anche non essere
presente, il mio compito e' finito, ma data questa
combinazione propizia, mi fermerei anch'io,
Ritorneremo in Italia con lo stesso volo di stasera,
tra tre giorni. Che cosa ne pensi?".
"Non so dirti, avremo tutto il week end da passare a
Londra".
"Non credi che ti possa fare compagnia, Irene?".
"Si', credo di si', anche se non si tratta piu' di
svolgere un'attivita' lavorativa".
"Vediamoci sotto due luci, Irene, da un lato sono il
tuo capo, dall'altro sono la tua compagnia per il
week end. Se accetti, a me farebbe molto piacere".
Irene, controllava a stento il suo entusiasmo per
quella proposta, ma si limito' a rispondere con un
timido "Si', va bene, come ci organizziamo?".
"Potremmo approfittarne per comprare una camicia in
piu' oppure un golf, se non abbiamo abbastanza
ricambio, insomma, fare un po' di shopping".
E cosi' fu.
Irene acquisto' una bella camicetta di seta cremisi
e, nello stesso negozio, Hubert un maglioncino blu
con rifiniture alla marinara.
Pochi passi dopo essere usciti, Hubert propose: "Ti
sottopongo un programma, tu dimmi se non ti va e
vuoi cambiarlo, ok?".
"D'accordo".
"Piccolo spuntino, torniamo in albergo, verso le
quattro ci troviamo, prendiamo la Tube fino a Tower
Hill, scendiamo e andiamo a vederci Katharine Docks,
il porticciolo turistico di Londra che e'
sopraelevato rispetto al livello del Tamigi, sai a
me interessano le barche, ma anche a te dovrebbe
piacere, e' molto carino. Poi mangiamo qualcosa da
quelle parti e torniamo in taxi. Domani a Portobello
e domenica in giro per i parchi di Londra. Il tempo
e' bello e ci favorisce".
"Si', per me va bene, mi piacerebbe anche vedere
come hanno ricostruito il Globe, l'antico teatro
dove recitava Shakespeare".
"Accolta".
"Per quanto riguarda poi i parchi, evitiamo pero' il
Thorpe".
"Accolta".
Quel venerdi' pomeriggio ando' esattamente secondo
il programma delineato da Hubert, con la variante
dell'attraversamento del Tower Bridge e la visita al
Globe. Cena nei pressi del Globe e ritorno in
albergo in taxi. Pago' sempre Hubert. "Posso mettere
il tutto in conto spese per la diaria, non ti sto
offrendo nulla di mio". Irene ammirava la sua
schiettezza. Se lei dissentiva su qualche argomento,
lui non mancava mai di esporre la propria opinione
con vigore e con spirito, circostanziando le sue
ragioni. La confidenza tra i due si era fatta
crescente e i discorsi piu' introspettivi e intimi.
Scherzarono, parlarono di barche, di vacanze, di
sogni e di tutto cio' che puo' allietare una
conversazione tra un uomo e una donna che si stanno
scoprendo e si assorbono l'un l'altra senza perdersi
una parola.
Tornarono in albergo verso mezzanotte. Hubert teneva
una mano sulla spalla destra di Irene, che la
gradiva. Entrambi stavano rendendosi conto che il
loro rapporto non era piu' un semplice feeling
professionale. Lo si era capito dagli sguardi, dai
gesti, dalle domande e dalle risposte. Irene sapeva
che Hubert era sposato. Anche se non ne parlava, non
ne faceva mistero, teneva la fede al dito. Ma in
quel momento a Irene non interessava: erano un uomo
e una donna, tutto il resto del mondo in quel
momento non esisteva piu'.
"Come mai ti chiami Hubert? E' un nome che non avevo
mai sentito prima" volle sapere Irene.
"Per via dei miei nonni materni" rispose "L'una
turca, l'altro greco. Mio nonno si chiamava cosi' e
la mia povera mamma, quando io nacqui, chiese a mio
padre di rendere onore a mio nonno. Ed eccomi,
allora, sono Hubert".
"Grazie, il tuo nome mi piace. Rimane unico per me".
Quando, come la sera precedente, arrivarono
sull'uscio della camera di Irene, Hubert le chiese
se potesse entrare. Irene non rispose, ma sorrise.
Il sorriso delle donne e' l'inizio di ogni storia
d'amore. Una sorta di desiderio che assomiglia alla
lussuria stava montando in lei. Spalanco' la porta e
la rinchiuse dopo i loro corpi. Lo sguardo di Irene
si era fermato dentro di lui. In silenzio, Hubert si
avvicino' sempre di piu' a Irene, la bacio' con
repentina passione, la strinse a se'. La sua bocca
scese giu' lungo il collo di Irene e lei rispose,
con un sospiro, lo ribacio' dove le capitava, le
mani tra i sui capelli, le mani di Hubert sul seno
di lei. Tentata da quell'uomo, sconosciuto sino a
pochi giorni prima, Irene si strinse a lui, decisa
ad arrendersi, a consegnarsi all'emozione. Poi entro'
in bagno, ne usci' spoglia. Hubert stava seminudo
sul letto e la fissava con desiderio. Vestito le
piaceva, nudo si confermava. Anche lei si sistemo'
nel letto stando eretta sulle ginocchia piegate,
divaricate come se gli stesse esibendo una sua
rinnovata verginita'. Hubert ne era infiammato.
Segui' quella che per Irene rappresentava la piu'
bella notte d'amore della sua vita. La fortuna,
eccezionalmente sbendatasi, le si era alla fine
affacciata? La guidava e la sorreggeva insieme con
la felicita' per questo rapporto d'amore: una saetta
precisa, dritta al suo cuore, come lanciata da
Davide con un tiro di fionda.
Quando si svegliarono, con gli occhi dentro agli
occhi, Hubert le disse: "Nel tuo corpo sento il
paradiso, una felicita' insostenibile e cosi' vorrei
vivere e morire". Le parole, anche se fini a se
stesse, fanno bene, una donna se le aspetta, specie
se cosi' sensibile come Irene. Quella mattina la
doccia per lei fu un incanto.
L'indomani, sabato, abbracciati e sorridenti. Irene
indossava la camicetta cremisi nuova come pure
Hubert il suo maglioncino blu. Molta gente, come al
solito, si era distribuita lungo l'interminabile
Portobello Road dove erano presenti centinaia di
bancarelle. Ma non tanto dalle bancarelle fu
interessato Hubert, quanto da un giovane giocatore
di scacchi seduto al di la' di una grossa cassa di
legno. Su di essa aveva posato, accanto a un
orologio Fisher, la sua scacchiera, con il bianco
rivolto a un ipotetico interlocutore, in attesa di
ingaggiare una partita da cinque minuti a testa. Chi
avesse perso avrebbe dovuto pagare una sterlina
all'avversario.
Hubert, che era un accanito giocatore di scacchi,
apri' il portafoglio, estrasse una banconota da una
sterlina, l'assesto' accanto all'orologio, getto' ai
suoi piedi il mozzicone della sigaretta che teneva
in mano e si sedette. Aveva accettato la sfida.
Mentre Irene assisteva sorpresa a questo inaspettato
comportamento, i due si presentarono con una stretta
di mano. Si chiamava Alfred quel giovanotto.
Una partita da cinque minuti e' estenuante, ma
Hubert era stato da giovane un Maestro, uno dei piu'
forti giocatori presenti in Italia. Avendo il bianco,
imposto' una partita di gambetto di re con alcune
varianti che misero subito in difficolta' il pur
esperto giovanotto inglese e, in meno di tre minuti,
dopo una ventina di mosse, arrivo' allo scacco matto.
Il viso avvilito di Alfred la diceva lunga sulla
lezione che aveva ricevuto in cosi' pochi minuti e
face il gesto di estrarre dalle tasche la sterlina
che avrebbe saldato il debito. "Lascia stare!" disse
Hubert "Il piacere e' stato mio, dunque tieni pure
la mia banconota, grazie per avermi ricordato questo
bel gioco". Irene, soddisfatta per questa
performance, si allungo' per un bacio intenso al suo
inaspettato campione.
Dopo un lunga carrellata di attenta osservazione
alle bancarelle, a una delle quali Irene acquisto'
un paio di occhiali da sole alla Elton John, si
fermarono a un bar per un brunch, visto che non
avevano fatto granche' di colazione, salvo sesso e
amore.
Irene chiese a Hubert di raccontarle qualcosa sul
gioco degli scacchi, di cui conosceva ben poco e
Hubert fu contento di avere l'occasione di parlarne.
"Questo antico gioco e' di origine orientale, Irene"
cosi' avvio' la spiegazione "Simula una battaglia
cruenta tra le due forze materiali e intellettuali
in campo. Una battaglia che terminera' con un
omicidio: quello di uno dei due re. "Scacco matto"
e' un'espressione che deriva dal persiano e
significa per l'appunto "il Re e' morto". Al suddito
che presento' per la prima volta a corte questo
gioco, il maharaja chiese di esprimere un desiderio,
per ricompensarlo di questa geniale contesa ludica.
Questi chiese un riconoscimento apparentemente
modesto: avere tanto mais da quanto poteva risultare
da una semplice operazione aritmetica: un chicco
sulla prima delle sessantaquattro caselle che
compongono la scacchiera, due chicchi sulla seconda,
quattro sulla terza, otto sulla quarta e cosi' via.
Il maharaja, che aveva accolto di buon grado la
richiesta, si rese conto che per soddisfarla non
sarebbero bastati i granai del suo regno e, per
togliersi dall'imbarazzo, ordino' di mozzare la
testa all'inventore di quel gioco. Secondo la
leggenda, la prima partita a scacchi era terminata a
margine della scacchiera applicando lo stesso
spirito di crudelta' che anima due schieramenti
contrapposti. L'esosita' del mitico inventore era
pari soltanto a quella del gioco stesso. Col passare
dei secoli il gioco e' cambiato di poco, vennero
aggiunte la regina, la situazione di stallo e la
presa en passant. Molti furono i personaggi celebri
che furono appassionati da questo gioco. Giuseppe
Giacosa, per ricordarne uno; Ingmar Bergman, che
scrisse "Il settimo sigillo", dove la Morte concede
una dilazione al suo cliente della durata di una
partita... Ah, dimenticavo di dirti che Ivan il
Terribile mori' proprio nel bel mezzo di una partita
a scacchi".
"Awful!" esclamo' Irene, mordicchiando un tramezzino
da cui spuntava una foglia di lattuga: "Dunque gli
scacchi non sono solo un gioco antico, sono anche un
gioco speciale!"
"Proprio cosi', Irene. Gli scacchi rappresentano un
universo sociale per tre motivi: in primo luogo
tutti i pezzi hanno un ruolo importante e la
vittoria non e' legata a un'azione singola, ma
dipende dalla forza del gruppo. In secondo luogo il
Re senza altri pezzi non vale nulla. In terzo luogo
il giocatore vince se e' abile e non se e' fortunato.
Dunque sulla scacchiera c'e' piu' democrazia che nel
mondo reale, dove il potere non sempre corrisponde
alle capacita' e dove la fortuna ha un ruolo spesso
preponderante. Pare che Lenin fosse un grande
estimatore del gioco, da lui definito Ginnastica
della mente. E, per questo motivo promosse la
diffusione del gioco in Unione Sovietica".
"Ottime considerazioni, Hubert! Ma come hai fatto a
diventare un campione?".
Hubert scolo' il suo ultimo goccio di birra scura e
prosegui': "Per caso, da ragazzino frequentavo il
Circolo Ambrosiano di Via Larga che stava vicino a
casa mia e li' ebbi l'opportunita' di imparare la
teoria e di accorgermi che ci ero portato. Iniziai a
partecipare a dei tornei e, in breve tempo, divenni
prima categoria nazionale, quindi Maestro. In
occasione di ogni torneo vengono assegnati dei punti
secondo il Metodo Elo. Arpad Emrik Elo fu il Grande
Maestro ungherese che penso' bene di definire delle
categorie, proprio come si fa in tante discipline,
dal ciclismo, al pugilato, alle serie A, B e C del
gioco del calcio e cosi' via".
"E quali insegnamenti ti ha portato questo gioco, se
te ne ha portati?"
"Pochi e secchi. In primis: non avvertire il nemico
quando sta per commettere un errore. Poi abituare il
cervello a riflettere in fretta studiando tutte le
possibili contromosse. Non sottovalutare mai un
avversario: chiunque ti potrebbe battere. Non
consentire di rifare una mossa all'avversario:
perderesti la partita".
"Cambi atteggiamento a seconda dell'avversario che
ti trovi a fronteggiare?".
"Beh, si'... Ne osservo le pupille: saprai che esse
si dilatano quando vedono qualcosa di piacevole. Un
test ricorrente nel centro di una partita, quando e'
il mio turno di muovere, consiste nell'avvicinare la
mano a un pezzo senza toccarlo, mentre rifletto se
sia la mossa piu' conveniente da farsi, e osservare
con attenzione la reazione del mio avversario. Se,
ad esempio, si china in avanti con le mani sulla
fronte, forse sta pensando che, se voglio realmente
effettuare quella mossa, potrebbe trovarsi in
difficolta'. Allora e' davvero il caso che la faccia.
Se, invece, reagisce spostandosi indietro con
tranquillita', forse spera che la faccia perche' sa
gia' come controbattere. Ed e' il caso in cui mi
chiedero' se non sia opportuno cambiarla".
"E... Applichi tutto cio' anche sul lavoro?" gli
pose questa domanda di fondo per lei conclusiva.
"No, direi di no" rispose e si accese una sigaretta
"Salvo la dimestichezza a elaborare decisioni
importanti in breve tempo, senza prendere cantonate".
Quella notte e quella successiva Hubert e Irene
dormirono ancora insieme e godettero di nuovo della
loro unione. Per Irene si trattava di un'esperienza
nuova e impareggiabile. Terminava l'amore sfinita e
soddisfatta, quasi svenuta e con tanta voglia di
sognare. La domenica, come pattuito, girarono per i
parchi londinesi tra guardie a cavallo, aironi,
papere e canoisti.
Lunedi' uno splendido sole favoriva le riprese dello
spot. Giunti all'appuntamento, Hubert e Irene
avvertirono nel cast inglese un certo senso di
amarezza. Erano in corso i Campionati del Mondo di
calcio in Sud Africa. Feriti nell'orgoglio, gli
inglesi, quella domenica, avevano assistito in Tv
alla sconfitta dell'Inghilterra per 4 a 1 ad opera
della Germania, nella gara piu' attesa degli ottavi
di finale. La loro Nazionale, come gia' avvenuto
pochi giorni prima anche per l'Italia, era stata
eliminata dal torneo. Un Mondiale nato male per
l'Inghilterra si chiudeva in modo ancora peggiore:
dominati e sopraffatti dalla Germania, i Three Lions
uscivano con le ossa rotte, maciullate da
un'inferiorita' netta che non s'era mai vista nella
storia della rivalita' tra le due Nazionali. Amorfa,
prigioniera delle sue paure, delle eccessive
pressioni che accompagnano una squadra alla ricerca
di un sigillo in campo internazionale, l'Inghilterra
aveva fallito per l'ennesima volta l'appuntamento
decisivo.
Hubert cerco' di smitizzare quell'aria da cimitero:
"Siamo usciti anche noi dalla mischia, ragazzi,
percio' consoliamoci insieme realizzando il miglior
spot che abbia avuto il vostro Twinings Tea. Ma la
professionalita' stava gia' per prevalere, i due
attori erano stati truccati a dovere, erano ansiosi
di ben figurare. Tutto appariva perfettamente in
linea con l'idea creativa di Irene e Sabrina. E cosi'
fu.
Verso sera la coppia forgiata a Londra era gia' di
ritorno a Milano.
Si salutarono con un lungo bacio, al vertice
dell'innamoramento.
Appena a casa, Irene raccolse questa sua vitale
esperienza nel diario, su cui verso' fiumi di parole
ben diverse dai pensieri del passato, come se una
grande porta paradisiaca si fosse spalancata dietro
a una montagna e avesse aperto a Irene un paese
delle meraviglie di cui non avrebbe mai sospettato
l'esistenza. Quei pochi giorni a Londra le sarebbero
rimasti scolpiti nella memoria finche' fosse vissuta:
giorni limpidi e inebrianti. Il ritmo dell'esistenza
aveva cominciato a battere piu' lesto e penetrante
per Irene.
La prima persona cui Irene confido' la sua gioia fu
naturalmente Sabrina.
"Ma, dai..." le rispose di rimando "hai fatto centro,
dobbiamo festeggiare!".
Dietro l'impulso di quel fresco entusiasmo e
nell'ardore del suo innamoramento, Irene appariva
radiosa e intraprendente. Il sorriso rincorreva il
suo volto sereno, la luce i suoi occhi castani, il
suo rendimento sul lavoro risultava piu' proficuo e
creativo.
(continua)